REVISTA DE DERECHO

ISSN: 2145—9355 (on line)
ISSN: 0121—8697 (impreso)
N° 50, Barranquilla, 2018
Fecha de recepción: 5 de octubre de 2017
Fecha de aceptación: 20 marzo de 2018
DOI: http://dx.doi.org/10.14482/dere.50.0006


ARTÍCULO DE INVESTIGACIÓN / RESEARCH REPORT

La nuova responsabilità penale del medico tra i mutevoli perimetri della rilevanza penale per colpa e le sfide all'alleanza terapeutica medico—paziente. Il caso italiano

La nueva responsabilidad penal del médico entre el cambiante perímetro de relevancia penal por culpa y la alianza terapéutica médico—paciente. El caso italiano

DOI: http://dx.doi.org/10.14482/dere.50.0006

Alice Caputo*

* Abogada y profesora adjunta de derecho penal en la Escuela de Especialización para las profesiones jurídicas de la Universidad de Salerno y la Universidad de Reggio Calabria. Investigadora independiente en el International Institute for the Unification of Private Law.

Fecha de recepción: 5 de octubre de 2017
Fecha de aceptación: 20 de marzo de 2018


Abstract

Il presente lavoro analizza le modifiche più salienti apportate alla responsabilità penale per colpa del medico dalla legge Balduzzi del 2012 e dalla recente legge Gelli — Bianco del 2017, cercando di tratteggiare non solo i lati positivi e negativi di tali riforme, ma anche il percorso di cambiamento del sistema di responsabilità penale del medico, alla luce dei rilievi emersi in giurisprudenza e in dottrina, tenendo conto delle nuove e pregnanti sfide all'alleanza terapeutica medico — paziente. Non si tratta quindi solo di equilibrare la tutela del diritto alla salute con la tutela della professionalità e della serenità del medico, di fatto minacciata dall'aumentare del contenzioso penale, diminuendo al contempo il diffondersi della medicina difensiva, ma di valutare le modifiche al dato normativo più idonee a favorire (e ricostruire) un'alleanza terapeutica positiva tra medico e paziente, oggi, invece sempre più minata da un'iper contrattualizzazione e burocratizzazione che di fatto la rendono sempre più fragile.

Parole chiave: Responsabilità penale del medico, linee guida, causa di non punibilità, colpa lieve, colpa grave, medicina difensiva, alleanza medico — paziente.


Resumen

El presente trabajo analiza los cambios más importantes realizados en la responsabilidad penal por culpa del doctor de la reciente ley Balduzzi 2012, de la ley 2017 Gelli Bianco, ententando de establecer no sólo los aspectos positivos y negativos de estas reformas, pero también el camino del cambio en el sistema de responsabilidad penal del médico, a la luz de las observaciones surgieron en la legislación y doctrina, teniendo en cuenta nuevos y significativos desafíos a alianza terapéutica médico—paciente. Es así no sólo para equilibrar la protección del derecho a la salud con protección de profesionalismo y serenidad del médico, de hecho amenazado por el aumento de litigios penales, disminuyendo la difusión de la medicina defensiva, pero evaluar los cambios regulatorios más apropiados dados a promover (y reconstrucción) una positiva alianza terapéutica entre el médico y paciente, ahora cada vez más socavada por una contratación hyper y burocracia que lo hacen cada vez más frágil.

Keywords: Medical criminal liability, guidelines, cause of non—punis—hment, mild guilt, serious guilt, defensive medicine, alliance doctor — patient.


1. PREMESSA

Negli ultimi tempi, la disciplina dell'attività medica ha risentito fortemente dei più generali processi evolutivi dell'ordinamento, proprio in quanto riveste una marcata rilevanza sociale, soprattutto, in ragione del diretto coinvolgimento dei diritti fondamentali dell'uomo, in special modo, quelli alla vita, alla salute e alla libertà personale. Sul piano giuridico, la copertura costituzionale di cui godono tali diritti, agli artt. 2, 13 e 32 Cost., si è tradotta tanto nell'area pubblicistica, quanto in quella privatistica, in plurime forme di promozione, protezione e controllo1. I profondi cambiamenti dei complessivi contesti economici e sociali, soprattutto di recente, hanno impresso una forte spinta evolutiva al tradizionale sistema giuridico dei valori legati alla persona che si è tradotta nell'ampliamento e rafforzamento delle relative tutele, pressoché in quasi tutti i campi di attività, compresa quella medica, i cui regimi di responsabilità si sono dovuti, perciò, adeguare ai nuovi significati dei principi fondamentali.

In un tale contesto, peraltro in continua evoluzione, anche le tutele contrattuali ed extracontrattuali del diritto privato hanno notevolmente accresciuto la loro importanza2. In particolare, sono state previste a favore del paziente speciali tutele nei confronti del medico distribuite durante le varie fasi del rapporto, da quelle preparatorie (ad esempio, obblighi di informazione), a quelle costitutive (ad esempio, misure di garanzia della genuinità del consenso3) e attuative (ad esempio, inasprimento del giudizio di responsabilità e ampio riconoscimento dei danni non patrimoniali4).

Da tempo, infatti, nel nostro ordinamento, l'attività medica è divenuta uno dei temi della responsabilità più di frequente dibattuto da dottrina e giurisprudenza. Con un contenzioso in crescente aumento. Del resto, l'evoluzione giurisprudenziale, mediante la traduzione dei principi costituzionali in meccanismi giuridici di tutela della persona nel trattamento medico, offre importanti indicazioni ricostruttive di questa maggiore attenzione verso la responsabilità del medico.

Ciò ha comunque comportato, indubbiamente, una profonda modificazione dei precedenti assetti giuridici e, più in generale, sociali che governavano la relazione tra medici e pazienti. In pratica, si è assistito al sostanziale superamento, se non addirittura al ribaltamento, della tradizionale posizione di immunità di cui beneficiavano i medici, secondo un processo di responsabilizzazione sempre più pregnante. Tale graduale e costante aumento del contenzioso5, in sede civile e penale, in merito alla responsabilità del medico, ha portato, come contro peso, all'emergere del fenomeno della medicina difensiva notoriamente definita dal Congresso degli Stati Uniti d'America del 1994 come la prescrizione da parte dei medici di test, procedure diagnostiche o visite in eccesso o come l'evitare pazienti ad alto rischio o procedure ad alto rischio per ridurre la propria esposizione al contenzioso legale6. La relazione medico — paziente e l'alleanza terapeutica insita nel rapporto medico — paziente hanno risentito molto di questi sviluppi7, con risvolti etici nella professione medica di non poco conto, ma non solo: la medicina difensiva comporta anche un aumento rilevante dei costi economici della salute, non sempre necessari8. Ed è proprio per questo che il legislatore, prima con la legge Balduzzi n. 189/2012 e, di recente, con la nuovissima legge Gelli Bianco n. 24/2017, ha provveduto a ridisegnare i perimetri e le modalità di accertamento della responsabilità medica, tentando di porre mano, da una parte, al crescere del contenzioso per responsabilità medica, soprattutto in sede penale, dall'altra al diffondersi della medicina difensiva.

2. LA RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO PER COLPA PRIMA DEL 2012:UN UNICO CONCETTO DI COLPA

L'attività medico—chirurgica rientra in quelle attività che l'ordinamento giuridico definisce pericolose, ma che, avendo come finalità principale la salvaguardia della salute e della vita della persona, è considerata utile e lecita. Ciò significa che l'ordinamento giuridico consente tale attività entro il limite del cosiddetto rischio consentito, superato il quale si entra nel campo della responsabilità per colpa9. Secondo l'art. 43 c. p. si ha delitto colposo o contro l'intenzione “quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. La colpa professionale è caratterizzata, da un lato, dall'inosservanza di quelle regole di condotta che hanno la finalità di prevenire il rischio non consentito dall'ordinamento giuridico e, dall'altro, dalla prevedibilità ed evitabilità dell'evento lesivo.

Le regole di condotta che hanno la finalità di prevenire il rischio di lesione del bene giuridico di volta in volta tutelato dall'ordinamento possono derivare o dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline che dettando specifiche cautele, mirano ad impedire o prevenire eventi lesivi, ovvero da imprudenza, negligenza ed imperizia.

Si parla di imprudenza quando il medico agisce con avventatezza, con eccessiva precipitazione, con ingiustificata fretta, senza adottare le cautele indicate dalla comune esperienza o da precise regole dettate dalla scienza medica. Il termine prudenza è dato dalla contrazione della parola previdente, per cui il medico prudente è colui capace di prevedere le possibili complicanze derivanti dalla somministrazione di un dato trattamento, di prevedere la possibile evoluzione della situazione morbosa del paziente ed evitare le conseguenze dannose.

E' negligente, invece, il medico che, per disattenzione o per superficialità, non rispetti quelle norme comuni di diligenza che è legittimo attendersi da persona abilitata all'esercizio della professione medica e che sono osservate dalla generalità dei medici. La differenza tra imprudenza e negligenza sta nel fatto che, la prima consiste in una condotta attiva, contraria alle regole fondamentali che la comune esperienza consiglia per tutelare la salute del paziente, la seconda, invece, in una condotta omissiva, nel senso che non viene fatto ciò che la scienza medica consiglia di fare nel caso concreto.

Infine, si ha imperizia quando la condotta del medico è incompatibile con quel livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l'esercizio della professione medica10.

Il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell'evento che permette di definire i confini della diligenza, prudenza e perizia richiesta dalla situazione concreta deve essere effettuato ex ante avendo come riferimento un “modello di agente” che svolga la stessa professione o attività dell'agente reale, “homo eiusdem professionis et condicionis”.

In alcuni casi, tuttavia, all'interno di una medesima categoria sociale di appartenenza, è possibile rinvenire una pluralità di tipi di “modello di agente”. E' il caso dei medici. E' stato sostenuto che “la misura della perizia oggettivamente richiesta nell'espletamento dell'attività sanitaria è graduabile a seconda che il medico appartenga alla cerchia dei cattedratici, degli specialisti o dei semplici generici11”. La stessa Corte di Cassazione, infatti, in più di un'occasione, ha evidenziato che, se è vero che “ai fini della colpa professionale dell'esercente un'attività sanitaria non si richiede una grande perizia, ma quel minimo che si deve attendere dall'esercente la professione medica12”, di fronte all'errore del medico specialista, invece, è necessario un atteggiamento di maggiore severità, poiché, in tali ipotesi, “non si richiede al sanitario solo quel minimo di cognizioni e l'abilità sopra indicate, ma quella conoscenza e quella particolare abilità e perizia proprie di chi ha acquisito un titolo specialistico13”.

Ed, infatti, le cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo campo, sono e devono necessariamente essere diverse e più ampie rispetto alle cognizioni fondamentali proprie di un medico generico. In tali ipotesi, dunque, “la colpa è ravvisabile nell'essere inescusabile” e, cioè, nel difetto della necessaria preparazione ed abilità tecnica da parte del medico.

Ma il “rigore” del criterio della prevedibilità non è mai sfuggito alla giurisprudenza, che mentre in alcuni casi ha sottolineato una valutazione larga della condotta del medico, in altri non ha esitato a mitigarlo ricorrendo al criterio del c. d. rischio consentito. La teoria del rischio consentito presuppone che sia intervenuto un bilanciamento di interessi contrastanti. Da un lato v'è l'esigenza di fornire adeguata tutela a beni giuridici di particolare natura, (salute, integrità fisica ecc.), dall'altro quella di consentire lo svolgimento di attività socialmente utili.

A tal proposito, è stato ben sottolineato in dottrina che la teoria del rischio consentito e dell'attività socialmente adeguata sembrerebbe essere diretta a mitigare il rigore di un'applicazione integrale dei criteri di cui all'art. 43 c. p. e, pertanto, non è esente da critiche, in quanto comporterebbe una deroga, a vantaggio dell'attività medica, alla disciplina generale dell'imputazione del fatto per colpa.

“Il vantaggio della teoria del rischio è palese, in quanto porta ad escludere che anche chi guidi a velocità moderata e con la massima prudenza un'automobile, non abbia la possibilità di prevedere l'investimento di un passante che gli si cacci sotto le ruote.

Ora, se alla colpa bastassero la rappresentabilità e l'evitabilità del risultato, poiché, nell'esempio prospettato, entrambe sarebbero presenti, non si potrebbe negare la responsabilità colposa per l'incidente che, nei termini sopra descritti, avesse a verificarsi.

Per l'attività che comportano pericoli più evidenti, si parla nella dottrina tedesca di “rischio consentito”, e si integra il criterio della responsabilità con l'asserto che può dar luogo a colpa soltanto quella condotta la realizzazione della quale vada oltre i limiti della adeguatezza sociale. Il tentativo di integrare così la teoria della rappresentabilità, considerata come criterio generale della colpa, lascia dei dubbi non risultando assolutamente precisati i limiti del rischio consentito. Allo stesso modo si è anche osservato che la fattispecie di attività pericolose permesse non rappresentano un'eccezione con la quale verrebbe sottratta alla regola della prevedibilità la disciplina di attività consone al progresso sociale: la potenzialità di un danno è, infatti, insita nelle più svariate condotte.

Rilievo indubbiamente esatto, il quale però lungi da costringere all'abbandono del criterio della rappresentabilità, apre una strada alla soluzione del problema. Si pensi, infatti, che mentre ordinariamente le attività lecite possono portare ad un evento vietato solo col concorso di particolari circostanze, certe attività sono espressamente autorizzate e disciplinate dal diritto, nonostante sia facilmente prevedibile che, in ogni caso, la loro realizzazione comporta un certo margine di rischi. Dobbiamo sottolineare: in ogni caso. Ciò significa che indipendentemente da una particolare modalità che in concreto la caratterizzi, l'azione di quest'ultimo tipo è, in sé e per sé, pericolosa14”. In buona sostanza, seguendo questo filo logico, non si può invocare la teoria del rischio consentito, in merito all'attività medica, per mitigare l'art. 43 c. p., in quanto essa costituisce sì un'attività pericolosa, ma di certo prevedibile. La pericolosità di un'attività socialmente utile non esclude la prevedibilità dell'evento. I criteri di prevedibilità ed evitabilità in presenza dei quali ci si trova a dover parlare di colpa restano fermi e devono essere indagati a norma dell'art. 43 c. p. così come avviene per la responsabilità per colpa di qualsiasi altra attività professionale.

Anche in giurisprudenza, gli orientamenti “rigoristi” si sono affiancati e alternati agli orientamenti più “miti”.

In particolare, nel corso del tempo, in tema di colpa professionale medica si sono formati due macro orientamenti giurisprudenziali. La giurisprudenza più risalente15affermava che in tema di colpa professionale, per quanto riguardava i medici, quando la prestazione professionale comportasse la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, era rilevante ai fini della responsabilità penale la sola colpa grave, in conformità di quanto previsto, in tema di responsabilità civile, dall'art. 2236 del codice civile. Il limite della colpa grave veniva solitamente riferito alla sola colpa per imperizia, mentre rispetto alla negligenza e all'imprudenza si riteneva che la valutazione dell'attività del medico dovesse essere improntata a criteri di normale severità.

Anche parte della dottrina16 distingueva le ipotesi in cui la condotta del sanitario si concretizzava in comportamenti negligenti o imprudenti da quelle nelle quali si concretizzava secondo un comportamento imperito. E, quindi, mentre nei casi di condotte negligenti o imprudenti la sussistenza della colpa medica sarebbe stata accertata secondo le regole generali dettate dall'art. 43 c. p., con la conseguente rilevanza penale anche della colpa lieve, nelle ipotesi di imperizia la condotta del medico avrebbe avuto rilevanza penale solo se riconducibile nell'ambito della colpa grave.

Tale orientamento, avallato anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n.166/1973, trova riscontro, secondo i suoi sostenitori, nella previsione contenuta nell'art. 2236 c. c. il quale dispone che: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni se non per dolo o colpa grave” poiché, in base all'articolo 1176 c. c., la diligenza richiesta nell'adempimento della prestazione — che solitamente è quella del “buon padre di famiglia”— nel caso di obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale deve essere valutata avendo riguardo alla “natura dell'attività esercitata”17. Il fulcro della questione riguarda la possibilità di ammettere anche in ambito penale, nell'imputazione soggettiva del reato, la sola colpa grave per i problemi tecnici che presentano particolare difficoltà. Questo orientamento giurisprudenziale sottolineava il principio dell'unitarietà dell'ordinamento giuridico, ritenendo arduo ipotizzare che uno stesso comportamento potesse essere civilmente lecito e penalmente illecito.

Ma il dibattito sulla responsabilità penale del medico, fondato per lungo tempo proprio sulla possibile o meno rilevanza della regola dell'art. 2236 c. c. anche in ambito penale, non è stato condiviso da un'altra parte della giurisprudenza di legittimità, la quale ha negato l'applicabilità del principio di cui all'articolo 2236 c.c. al diritto penale, affermando che in questa materia avrebbero dovuto trovare esclusivo accoglimento gli ordinari criteri di valutazione della colpa di cui all'art. 43 c.p., secondo il parametro consueto dell'homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito delle eventuali maggiori conoscenze dell'agente concreto18.

In linea generale, questo orientamento, prima della riforma del 2012, è sembrato essere il più coerente al dato normativo, in quanto, in diritto penale, il grado della colpa è previsto dall'art. 133 c. p. solo come criterio per la determinazione della pena o secondo quanto disposto dall'art. 61, n. 3, c. p. come circostanza aggravante e mai per determinare la stessa sussistenza dell'elemento psicologico del reato, sicché il minor grado della colpa non poteva avere in alcun caso efficacia scriminante.

L'art. 43 c. p., di fatti, non parla di gradi della colpa.

Questa posizione è stata peraltro rafforzata da numerose sentenze della Corte di Cassazione19. Infatti, imponendo la valutazione dei casi di imperizia sulla base degli stessi canoni applicabili alle ipotesi di negligenza ed imprudenza, la Corte di Cassazione impedisce che il pregiudiziale ed aprioristico abbassamento del grado di perizia, esigibile dal medico, comporti oltre ad una indulgenza eccessiva, una inevitabile disparità di trattamento rispetto alla situazione di altre categorie professionali, la cui attività richiede cautele non certo minori di quelle che l'ordinamento pretende dal medico. Infatti, la Corte ha affermato che l'accertamento della colpa professionale del sanitario deve essere valutata sì con larghezza e comprensione per la peculiarità dell'esercizio dell'arte medica e per la difficoltà dei casi particolari, ma pur sempre nell'ambito di quei criteri dettati dall'art. 43 c. p. per l'individuazione della colpa. Fa, comunque, riflettere anche il richiamo a quella larghezza di vedute e comprensione che ricompare nelle sentenza: sembra un inciso che ha l'intento di smorzare la forza applicativa di un indirizzo giurisprudenziale che non tollera graduazioni nella determinazione della colpa. Da un'analisi dell'ordinamento penale, prima del 2012, appare piuttosto chiaro, quindi, che non c'era motivo di ammettere una deroga alla disciplina della responsabilità a titolo di colpa per l'attività medica né appariva possibile ammettere una graduazione della colpa nella disciplina dell'elemento psicologico del reato.

D'altronde, l'applicazione estensiva dell'art. 2236 c. c., giustificata da molti, come già detto, sulla base di una presunta unitarietà dell'ordinamento giuridico, si imbatteva anche nel fatto che il suddetto art. 2336 c. c. “non può esplicare alcun effetto restrittivo della disciplina dell'elemento psicologico del reato”, neanche in virtù di una applicazione analogica o estensiva, poiché, per giurisprudenza conforme della Corte Suprema “la sua applicabilità non può avvenire né con interpretazione analogica, perché vietata per il carattere eccezionale della disposizione rispetto ai principi vigenti in materia, né per interpretazione estensiva, data la completezza e l'omogeneità della disciplina penale del dolo e della colpa20”.

In conclusione, il regime della responsabilità penale dell'attività medica non sembrava potersi discostare assolutamente dal regime generale previsto per ogni forma di responsabilità penale, secondo quanto disposto dall'art. 43 c. p21. La distinzione tra colpa lieve e colpa grave nell'ambito della responsabilità professionale del medico, proposta dall'orientamento giurisprudenziale più risalente, sembrava una interpretazione forzata, che non poteva essere unanimemente accolta.

3. LA LEGGE BALDUZZI N. 189 DEL 2012 TRA GRADAZIONE DELLA COLPA E LINEE GUIDA

Con la legge Balduzzi n. 189 del 2012, la responsabilità del medico, in ambito penalistico, ha subito importanti modifiche, sia per quanto riguarda il perimetro della rilevanza penale della responsabilità per colpa del medico, sia per quanto riguarda le modalità di accertamento. Il fine del legislatore è stato certamente quello di limitare e contrastare il fenomeno della medicina difensiva, mitigando il regime di responsabilità penale del medico.

Infatti, l'art. 3, comma 1 della suddetta legge, stabiliva che: “L'esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Di fatto, la responsabilità penale del medico che si fosse attenuto alla linee guida e alla buone pratiche aveva rilevanza solo in caso di colpa grave. 

Il legislatore, tenendo in considerazione il proliferare della medicina difensiva, ha tentato di porre mano al fenomeno circoscrivendo, esplicitamente, il perimetro di rilevanza penale della responsabilità per colpa del medico, attraverso l'introduzione, per la prima volta nel dato normativo, della colpa lieve, ridando così considerazione al già richiamato e più risalente orientamento giurisprudenziale interpretativo basato sulla nozione di colpa lieve contrapposta alla nozione di colpa grave, anche in ambito penale. Il legislatore ha, infatti, esplicitamente inserito nel dato normativo, per quanto riguarda la responsabilità penale del medico, la distinzione tra colpa lieve e colpa grave che, secondo il precedente orientamento prevalente della Cassazione, non avrebbe potuto trovare applicazione nelle ipotesi di colpa professionale, neppure limitatamente ai casi in cui “la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, pur previsti dall'articolo 2236 del codice civile22. Questa modifica riporta all'attenzione i concetti di colpa lieve e colpa grave, di matrice civilistica, anche in campo penalistico, ed introduce l'assoluta novità delle “linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”, inserendo per la prima volta una forma di responsabilità del medico simile, con le dovute differenze nei contenuti e nelle modalità, ai modelli di “compliance” previsti per la responsabilità penale degli enti, ex d. lgs. 231 del 200123. Molto si è discusso sulla valenza delle linee guida: sulla loro natura, sul loro peso nel giudizio di responsabilità, sul loro grado di vincolatività e affidabilità24.

E' utile osservare che la versione precedente dell'art. 3 del d.l. Balduzzi n.158/2012 alla versione definitiva, poi entrata in vigore così come modificata dalla Commissione Affari sociali, statuiva: Il giudice, ai sensi dell'art. 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifiche nazionale ed internazionale”.

In questa versione, la valenza delle linee guida e delle buone pratiche appare sempre concorrente alla valutazione del caso concreto.

Richiamo, quello al caso concreto, con relativa discrezionalità del giudice di poter valutare la sussistenza di una responsabilità penale per colpa grave del medico anche in presenza del rispetto delle linee guida, ritenute comunque non congruenti al caso concreto, che non si ritrova nella versione finale dell'art. 3 della legge Balduzzi, poi entrata in vigore.

Su questo punto, la valenza delle linee guida e delle buone pratiche, seguendo una lettura pienamente aderente al dato normativo, sembra assolutamente prioritaria. Ma la giurisprudenza25, ormai consolidata, ha da sempre richiamato il giudice ad un valutazione aggiuntiva alla semplice adesione del medico alle linee guida, con uno sguardo sempre aperto al caso concreto. Infatti, “al sanitario non può essere demandata una funzione meramente protocollare o di burocrate dei trattamenti sanitari indicati o imposti”.

Allo stesso modo, la giurisprudenza, anche antecedente all'emanazione della legge Balduzzi, ha sempre avuto un orientamento preponderante al caso concreto. “Le linee guida non sono da sole la soluzione dei problemi, un comportamento non è lecito perché è consentito, ma è consentito perché diligente”26.

Ciò posto, le linee guida, pur essendo una grande novità, con valenza preponderante nel giudizio di responsabilità del medico, richiedono sempre un affiancamento alla valutazione del caso concreto.

Infatti, alla luce delle osservazioni appena esposte, in merito alla loro natura, non sono, secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, da considerarsi come regole cautelari, secondo il classico modello della colpa specifica27. Si tratta seguendo le parole della suprema Corte di un prodotto multiforme, originato da una pluralità di fonti, con diverso grado di affidabilità, e che tali direttive vengono in rilievo, nel momento in cui si procede alla valutazione ex ante della condotta dell'esercente la professione sanitaria, tipica del giudizio sulla colpa, valutazione che deve essere rapportata alla difficoltà delle valutazioni richieste al professionista.

Ciononostante, uno degli aspetti più discussi della citata riforma è stato proprio quello dell'affidabilità delle linee guida, in mancanza di un accreditamento univoco28. Infatti, esse sono considerate come raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche, ma in un mosaico complesso e non omogeneo di soluzioni, grande quanto l'intera comunità scientifica, nazionale ed internazionale.

Altra novità fondamentale della riforma, definita osmotica rispetto a quella delle linee guida29, riguardava l'introduzione della gradazione della colpa nel giudizio di responsabilità penale del medico, con rilevanza della sola colpa grave come perimetro di responsabilità ed in assoluto contrasto con la giurisprudenza maggioritaria che, da sempre, aveva ravvisato una impossibilità manifesta nell'introduzione del concetto di colpa grave in ambito penalistico, dove la gradazione della colpa ha avuto da sempre rilevanza solo nella commisurazione della pena secondo quanto previsto dall'art. 133 c.p. Questa novità sopisce, almeno in parte, il dibattito giurisprudenziale contrapposto tra i due macro orientamenti formatisi nel corso del tempo sulla ammissibilità della gradazione della colpa nel giudizio di accertamento della responsabilità penale del medico. Il legislatore introduce espressamente in ambito penale il criterio civilistico della colpa lieve all'art. 3 della legge Balduzzi. Ma pur venendo meno, per le chiare modifiche esposte, il dibattito sull'ammissibilità a meno della graduazione della colpa nei giudizi di responsabilità penale del medico, non manca di emergere una certa delusione per la novità introdotta, da parte della dottrina e della giurisprudenza30, le quali ne hanno sin da subito sottolineato una serie di punti critici. In particolare, in merito all'introduzione della graduazione della colpa ci si è posti il quesito fondamentale e prioritario di che cosa si debba intendere per colpa grave e per colpa lieve. Infatti, la stessa Cassazione con la sentenza Cantore del 201331 ha evidenziato che: “Il tema più nuovo ed oscuro introdotto dalla nuova disciplina è quello della distinzione tra colpa lieve e colpa grave”. Intanto perché nel codice penale non si ha una definizione di colpa grave rapportata ad un giudizio di responsabilità che prevede un'indagine  dell'elemento soggettivo del reato. In secondo luogo, perché anche il legislatore del 2012 richiama, in verità, solo la locuzione colpa lieve e non fornisce nessun chiarimento sul contenuto né della colpa lieve né sul contenuto della colpa grave. Pertanto, la giurisprudenza, fin da subito, ha tentato di sopperire a tale lacuna fornendo chiarimenti interpretativi in grado di ricostruire un concetto di colpa grave compatibile con una visione sistemica del codice penale. In primo luogo, la Corte si riallaccia alle elaborazioni giurisprudenziali già createsi prima del 2012 sulla colpa grave in ambito penale, ed, in particolare, alla giurisprudenza favorevole all'ammissibilità del concetto di colpa grave di matrice civilistica in ambito penale, la quale ha sempre valutato tale ammissibilità solo in termini di imperizia, e non sotto gli altri due profili della colpa, l'imprudenza e la negligenza, così come riconosciuto anche dalla sentenza della Corte Costituzionale del 28 novembre 1973, n. 166.

La Cassazione successiva alla riforma del 2012 ha osservato, infatti, che la legge Balduzzi trova il suo terreno di elezione nell'ambito dell'imperizia, trasformandolo, nel tempo, in terreno esclusivo e statuendo, in modo del tutto univoco, che in tema di responsabilità medica, la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve prevista dall'art. 3 d.l. 13 settembre 2012, n. 158, opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida e non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza, perché le linee guida contengono solo regole di perizia32.

Oltre questo iniziale chiarimento, la Cassazione, sempre nella nota sentenza Cantore del 2013 ha fornito una serie di parametri dai quali, in sede di accertamento, rinvenire la gravità della colpa. Tra questi, in particolare, giova rammentare: la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base delle linee guida e delle buone pratiche alle quali ci si doveva attenere, quanto fosse prevedibile in concreto la realizzazione dell'evento e quanto fosse in concreto evitabile la sua realizzazione, le specifiche e concrete condizioni dell'agente (del medico), la motivazione della condotta, la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa e, quindi, dalla previsione dell'evento e l'eventuale concorso di colpa di più agenti o della stessa vittima.

La stessa Corte di Cassazione non manca, inoltre, di precisare che tali indicatori non costituiscono un elenco né tassativo, né vincolante e che in sede di valutazione concreta, di solito mai fondata su un solo e unico parametro, deve essere compiuta una comparazione degli indicatori in una visione d'insieme e, soprattutto, equilibrata33.

Ciò posto, merita di essere sottolineata una questione interpretativa che è stata sollevata da una recente sentenza della Cassazione34 e che pur riferita alla legge Balduzzi potrebbe, a ben vedere, riguardare, con le dovute differenziazioni, anche la nuova e recentissima riforma operata dalla legge Gelli.

La sentenza in questione, in assoluta distanza con l'orientamento maggioritario, già richiamato, si è occupata di verificare se l'esonero di responsabilità, per colpa lieve ex lege n. 189/2012, potesse essere limitato alla sola colpa per imperizia, fornendo a tale quesito risposta negativa. La Corte fa discendere la soluzione al presente quesito dall'analisi dell'inedito dato normativo di cui all'art. 3, comma 1, legge n. 189 del 2012 e delle sue interazioni con le regole generali in tema di colpa, contenute nell'art. 43 c.p., giungendo a tale conclusione: “La limitazione della responsabilità del medico in caso di colpa lieve, prevista dall'art. 3, comma primo, legge 8 novembre 2012, n. 189, opera in caso di condotta professionale conforme alle linee guida ed alle buone pratiche, anche nelle ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall'imperizia”. In quanto, sempre secondo la Suprema Corte, deve considerarsi che la scienza penalistica non offre indicazioni di ordine tassativo, nel distinguere le diverse ipotesi di colpa generica nell'art. 43, comma 3, c.p., tanto che, in conclusione, la distinzione delle qualifiche di negligenza, imprudenza e imperizia deve ritenersi di secondaria importanza.

L'esame, appena svolto, del fermento interpretativo e delle principali questioni che sono state sollevate nel periodo di applicazione della legge Balduzzi n. 189 del 2012, in tema di responsabilità penale del medico per colpa, è necessario per comprendere le premesse che hanno creato l'esigenza di un ulteriore e sentito intervento del legislatore, in un lasso di tempo molto ravvicinato rispetto alla riforma del 2012, e dalle quali si deve ripartire per comprendere le future traiettorie interpretative.

4. LA LEGGE GELLI BIANCO: IL RITORNO DI UN UNICO CONCETTO DI COLPA, “L'ISTITUZIONALIZZAZIONE” DELLE LINEE GUIDA E UNA NUOVA CAUSA DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ.

Il legislatore del 2017, con la legge Gelli Bianco, recentemente entrata in vigore, opera delle modifiche importanti all'impianto legislativo precedente riguardante la responsabilità penale del medico (e non solo), partendo proprio dai rilievi di criticità emersi nell'applicazione della legge Balduzzi (spesso disattendendo le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza) e continuando così il percorso di riforma iniziato nel 2012. In primo luogo, cercando di superare le critiche sulla affidabilità e sulla natura delle linee guida, la nuova legge ha “tipicizzato” le fonti di riferimento per gli esercenti le professioni sanitarie: ci si dovrà attenere alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi della legge e, soprattutto, elaborate dai soggetti accreditati.

Non selezione ex post da parte del giudice, ma selezione ex ante, agevolando la conoscenza prima che la condotta venga tenuta. Antecedentemente, non vi era nessuna elencazione ufficiale delle linee guida né un sistema di accreditamento delle stesse. Le linee guida potevano pertanto differenziarsi in quanto a scopo, contenuti metodo origine o aggiornamento.

A questo indubbio passo in avanti, che chiude il cerchio sulle principali critiche sollevate in merito all'affidabilità delle linee guida, si è già affiancata la preoccupazione che una tale prassi di accreditamento delle linee guida da parte del legislatore possa portare ad una sorta di “medicina di Stato”. Si è anche sollevato il timore legato ai criteri in base ai quali si perverrà all'accreditamento delle linee guida e che verranno poi specificati in sede ministeriale e al processo di validazione, non ancora realizzato35.

Indubbio, però, è il progresso compiuto in termine di certezza.

Un progresso che poteva compiersi principalmente attraverso una certificazione ex ante ai sensi di legge e a tutto vantaggio dell'omogeneità delle fonti rilevanti nel giudizio di responsabilità in sede di accertamento, al fine di dare effettività e certezza al nuovo dato normativo e alla sua applicazione.

Di certo, da un punto di vista penalistico, la novità centrale della nuova riforma è contenuta all'art. 6 della legge n. 24 del 2017 e riguarda l'introduzione nel codice penale di un nuovo articolo, il 590 sexies, il quale prevede, in tema di omicidio o lesioni, che qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

In primo luogo, in tema di responsabilità professionale del medico non vi è più, come nel 2012 con la legge Balduzzi, il richiamo alla gradazione della colpa, non si deve pertanto più operare la distinzione tra colpa lieve e colpa grave nella valutazione della responsabilità.

Un tale silenzio sulla gradazione della colpa, da parte del legislatore, evidenzia la scelta di ritornare, secondo quanto da sempre sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria più rigorista, ad un'unicità del concetto di colpa nel giudizio che viene operato dal giudice per la valutazione della responsabilità penale del medico, con un possibile richiamo alla distinzione del grado di colpa solo ai fini di commisurazione della pena. Questa è, certamente, la novità più evidente. In secondo luogo, il nuovo art. 590 sexies c.p. introduce espressamente una causa di non punibilità: la punibilità è esclusa se l'evento è causato da imperizia e sono state rispettate e seguite le linee guida e le buone pratiche clinico assistenziali. Rispetto alla normativa precedente si ha un restringimento del perimetro di esenzione da responsabilità penale per colpa del medico.

Di fatto, se l'evento (inerente le lesioni o l'omicidio colposo) si è verificato per negligenza o imprudenza, pur rispettando le linee guida, il medico incorrerà nella responsabilità per colpa. Pur non essendoci ancora, dato il brevissimo tempo di entrata in vigore della legge, un dibattito in dottrina e giurisprudenza consistente da esaminare36, è evidente che un possibile punto critico di tale novità riguarda la difficoltà sottolineata da una giurisprudenza minoritaria formatasi prima dell'entrata in vigore della legge Gelli Bianco, come già visto, sull'estensione della limitazione di responsabilità prevista dalla legge n. 189 del 2012 anche alle ipotesi di negligenza e imprudenza, oltre a quelle di imperizia. In particolare, la giurisprudenza37 ha osservato che il “confine tra conoscenza, uso appropriato della cautela, avventatezza o trascuratezza nella scelta di quella adatta è troppo sottile, così come è troppo pericolosa una distinzione che voglia essere dirimente ai fini penali” e una siffatta distinzione difficilmente sarà rinvenibile in termini rigidi nemmeno nelle linee guida, che mirano, senza porsi problemi definitori, ad assicurare la perizia, ma anche la diligenza del medico e la tempestività del suo intervento.

Sul punto è stato chiaramente osservato38 che l'analisi casistica mette in luce la molteplicità delle ipotesi di imperizia mascherata: imputazioni costruite su negligenza o imprudenza che celano, tra le righe, un nucleo contenutistico di imperizia.

Altro punto che potrebbe rivelarsi critico riguarda l'inciso, contenuto nell'art. 590, sexies sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultano adeguate alla specificità del caso concreto. Ritorna, come nella prima versione provvisoria dell'art. 3 della legge Balduzzi, poi sostituita dalla versione definitiva, il richiamo al caso concreto nel giudizio di responsabilità. Tale richiamo, comunque in parte sempre ritenuto opportuno, anche implicitamente, dalla giurisprudenza per non creare una oggettivazione estrema delle linee guida, in questo nuovo contesto sembrerebbe limitare, in qualche modo, il positivo passo in avanti operato dalla certificazione delle linee guida. Il controllo ex ante operato secondo la legge, attraverso un intervento statale nella scelta delle linee guida e delle buone pratiche clinico assistenziali, sembrerebbe essere diminuito e privato di senso se affiancato ad un ulteriore vaglio da parte del giudice, il quale in riferimento al caso concreto, potrebbe ritenere le linee guida adeguate o meno, con buona pace della certificazione precedentemente compiuta. Oltre all'espressa dilatazione discrezionale della valutazione del giudice nel giudizio di responsabilità, sembrerebbero perdere effettività e valore proprio le linee guida e le buone pratiche sulla quali, nelle due riforme, si è puntato molto in termini di innovazione. Tuttavia, pur se non espressamente richiamato dal dato normativo, il richiamo al caso concreto è sempre stato considerato dalla giurisprudenza come un punto necessario. Considerando la particolarità degli interessi in gioco e la complessità della professione medica, una eccessiva oggettivazione comporterebbe, indubbiamente, una perdita importante di valutazione del caso specifico39. Pertanto, laddove il richiamo alla adeguatezza delle linee guida alla specificità del caso concreto serva come canone interpretativo che permetta sempre di rifuggire ad un'oggettivazione ed una “pietrificazione” dell'attività medica rispetto a situazioni concrete e specifiche che richiedano un'analisi ed una valutazione, in vista di una certa particolarità intrinseca, più ponderata da parte del giudice, non pare che ci si discosti molto da quanto comunque si è affermato pacificamente nel corso del tempo nelle varie elaborazioni giurisprudenziali. Di certo, la valutazione delle linee guida da parte del giudice non potrà costituire, sic et simpliciter, un ulteriore vaglio di adeguatezza non necessario, laddove non richiesto dalla specificità del caso concreto.

Detto ciò, la riforma della riforma, ossia la nuova legge Gelli Bianco, ha certamente tentato una semplificazione del dato normativo, ma dai risultati non sempre chiari. Lodevole e necessaria risulta la scelta di un accreditamento “ufficiale” dei parametri sui quali misurare la responsabilità: le linee guida e le buone pratiche, con il richiamo alla valutazione della loro adeguatezza alla specificità del caso concreto. Di fatto, però, il perimetro di esenzione della responsabilità penale per colpa del medico, rispetto alla prima riforma, risulta notevolmente ristretto, con un passo indietro rispetto all'obiettivo del legislatore di diminuire, auspicabilmente, il contenzioso penale in tema di responsabilità del medico. Tale perimetro di esenzione, poi, è stato ristretto alle sole ipotesi di imperizia, lasciando cadere tutte le considerazioni emerse nella pratica e nell'applicazione della legge Balduzzi, sulla difficoltà di distinguere, così nettamente, tra casi di imperizia, negligenza ed imprudenza.

5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: ALLA RICERCA DELL'ALLEANZA TERAPEUTICA (PERDUTA)

Le osservazioni sin qui condotte hanno evidenziato i lati positivi e i lati negativi di un processo di riforma formalmente iniziato dal legislatore nel 2012 e sostanzialmente in atto, dalla metà degli anni cinquanta, da parte della giurisprudenza. Si tratta di un percorso fatto di inciampi, errori, piccoli passi in avanti, qualche punto più chiaro. Ma pur sempre un percorso, che come ogni cammino “verso” permette quantomeno di valutare positivamente lo sforzo in atto per raggiungere un equilibrio tra esigenze di tutela della salute del paziente, di contenimento della medicina difensiva e di tutela della professionalità e della serenità del medico. Il punto è saper scorgere, in questo cammino, la meta da prefiggersi.

Di certo, è indubbio che il legislatore tenga in conto i costi economici derivanti dalla medicina difensiva, sviluppatasi a seguito di un ricorso eccessivo della tutela penale da errori medici, con un aumento del relativo contenzioso, non più trascurabile. Il tutto, poi, considerando un equilibrio con la tutela del diritto alla salute. Il punto, però, è saper scorgere, in questa ricerca di equilibrio, tra le varie istanze, non un semplice compromesso tra le varie aspettative, ma una ricerca (che poi a questo punto dovrebbe costituire la meta di ogni intervento legislativo) di protezione dell'alleanza terapeutica tra medico—paziente40. E' in questa relazione che si gioca la validità di ogni intervento, legislativo ed anche interpretativo, perché, per una vera tutela del diritto alla salute, tale relazione deve essere il più possibile positiva. E spetta al diritto saper fornire, attraverso un calibrato intervento, gli strumenti per valorizzare, anche in un giudizio di responsabilità penale, tale relazione, nella quale il medico non costituisce in nemico, ma un alleato del paziente.

Non si tratta solo di contenere i costi economici della medicina difensiva, pur rilevanti, ma ricostruire anche in ambito penale, che dovrebbe costituire sempre l'estrema ratio, i termini in cui tale relazione non trasformi il medico, il quale di per sé lavora a favore della salute del paziente, in un burocrate. Alla luce di questa visione, acquisisce allora valore l'altro interesse tutelato, la salute del malato, in un'ottica non diametralmente opposta, ma parallelamente vicina.


NOTAS

1 Cfr. DURANTE V., La salute come diritto della persona, in CANESTRATI S., FERRANDO G., MAZZONI CM. e altri, in RODOTA' ZATTI, Trattato di Biodiritto, Milano, Giuffrè, 2010, p. 579. Sulla complessità di diritti, aspettative e pretese collegate al diritto alla salute, cfr. LUCIANI M., Diritto alla salute, Dir. Cost., in Enc. Giur. XI, Roma, 1989.

2 Per una ricostruzione puntuale di tale evoluzione cfr. DE MATTEIS R., La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Padova 1995.

3 Per un approfondimento sul rilievo penale del consenso cfr: PIOGGIA A., Consenso informato ai trattamenti sanitari e amministrazione della salute, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2011, pp.125 e ss. o, ancora, DASSANO F., Il consenso informato al trattamento terapeutico tra valori costituzionali, tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti, Giappichelli 2006, Torino, pp. 27 e ss.

4 Cfr. FALLACE S., La responsabilità da contratto sociale, Padova, Cedam, 2004.

5 Cfr. INTRONA F., Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it. Med. Leg., 2001, p. 884; BILANCETTI M., La responsabilità penale per colpa professionale medica è destinata a ridimensionarsi anche in Italia?, in Giur. It., 2003, pp.1982 e ss., il quale sottolinea l'esigenza di ricondurre l'azione risarcitoria alla sede civilistica, come avviene in tanti altri Paesi.

6 Definizione nota e diffusa, formulata dall'Office of Technology Assessment, US, Congress, nel 1994.

7 Si veda, tra gli altri, CAVICCHI I., La clinica e la relazione, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.

8 Per una ricostruzione puntuale e precisa dell'impatto quantitativo ed empirico della medicina difensiva si rimanda a: “Progetto di Riforma in materia di responsabilità penale nell'ambito dell'attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico”, a Cura del Centro Studi “Federico Stella sulla Giustizia penale e la politica criminale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, pp. 8 e ss. Per un'analisi delle conseguenze penali della medicina difensiva, cfr. EUSEBI L., Medicina difensiva e diritto penale “criminogeno”, in Riv. it. med.leg., 2011, pp. 1085 e ss.; BARTOLI R., I costi “economici—penalistici” della medicina difensiva, in Riv. it. Med. leg., 2011, pp.1107 ss.; ROIA—TI A., Medicina difensiva e responsabilità per colpa medica, in Riv. it. Med. Leg., 2011, pp.1125 e ss.

9 Cfr. BRICOLA F., Aspetti problematici del c. d. rischio consentito, pp. 105 ss., FERRARI S., Sulla valutazione della responsabilità medica per colpa, in Giurisprudenza Italiana, 2004, p. 1492.

10 Cassazione penale, Sez. IV, 16.02.1987

11FIANDACA G. — MUSCO E., Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2014, p. 496

12 Cassazione penale, 17.02.1981 e in Giustizia penale, 1982, III, p. 634

13 Cassazione Penale, 11.03.1983 e in Giustizia Penale, 1984, II, p. 227

14 Cfr. GALLO M., voce Colpa penale (diritto vigente), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1960, p. 624 ss.

15Cfr. Cass. 23 agosto 1994, sent. n.199757, Cass. Pen. 25 maggio 1987, sent. 176606, Cass. Pen., sez. IV, sentenza n. 6650 del 27 gennaio 1984, Cass. Pen., sez. II, sentenza n. 11695, 23 agosto 1994.

16Per una ricostruzione del dibattito, cfr. CRESPI A., voce Medico — chirurgo, in Di Gesto, disc. pen., vol. VII, Torino, 1993, p. 592; o ancora CRESPI A., La responsabilità penale nel trattamento medico chirurgico con esito infausto, Collana di Studi Penalistici, vol. 13, Palermo, 1955. Per una ricostruzione completa del dibattito in giurisprudenza sul punto, vedi VENEZIANI P., I delitti contro la vita e l'incolumità individuale. I delitti colposi, vol III, Trattato di diritto penale, dir. da Marinucci G. —Dolcini E., parte speciale, CEDAM, 2009.

17In questo senso, cfr. NUVOLONE P., Colpa civile e colpa penale, in Trent'anni di diritto e procedura penale, Padova, 1969, p. 696

18 Cfr. Cass. Pen., sez. 4, sentenza n. 11733 del 2 giugno 1987, Cass. Pen., sez. 4, sentenza n. 11007, del 28 aprile 1994, Cass. Pen., sentenza n. 46412, 28 ottobre 2008.

19 Tra queste, cfr. Cass. Pen. 2.6.1987: “Il concetto di colpa grave previsto dall'art. 2236 c. c. è limitato all'obbligo del risarcimento dei danni, quando la prestazione professionale implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà; esso, pertanto, non è estensibile all'ordinamento penale (applicazione del principio alla colpa professionale del sanitario).”

20 Cass. Pen., sez. 4, sentenza n. 46412, 28 ottobre 2008.

21 Più problematico appariva, invece, l'accertamento della responsabilità penale del medico per i reati omissivi e, più in particolare, l'accertamento del nesso di causalità fra condotta omissiva ed evento. Nell'ormai noto caso Franzese, un medico è stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo per non avere effettuato, in qualità di responsabile di una delle divisioni chirurgiche di un ospedale, una corretta diagnosi né, tanto meno, praticato appropriate cure ad un paziente che, dopo aver subito un intervento chirurgico d'urgenza per perforazione ileale, è poi deceduto per una sepsi addominale; diagnosi e cura che, se fossero state doverosamente e correttamente effettuate sarebbero invece state idonee ad evitare la progressiva evoluzione della patologia infettiva letale ©con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale®. La IV Sezione della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite sul rilievo dell'esistenza di un ormai radicale contrasto interpretativo in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale medico —chirurgica. La questione sottoposta all'esame delle Sezioni Unite ha riguardato il problema se ®in tema di reato colposo omissivo improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale del medico —chirurgo, debba essere ricondotta all'accertamento che con il comportamento dovuto ed omesso l'evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità ®vicino alla certezza®, e cioè in una percentuale di casi ®quasi prossima a cento®, ovvero siano sufficienti, a tal fine, soltanto ®serie ed apprezzabili probabilità di successo® della condotta di impedire l'evento®. Le indicazioni interpretative formulate dalla sentenza Franzese prevedono che:

in tema di causalità omissiva nella responsabilità professionale del sanitario, per individuare, o escludere, il nesso causale, non ci si può basare esclusivamente sui meri dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica espressi dalla legge statistica, essendo invece imposto al giudice il dovere di verificarne la validità nel caso concreto;

nella costruzione della causalità omissiva, ciò che rileva, più che la mera probabilità statistica, è la probabilità logica, in forza della quale il nesso di causalità sussiste tutte le volte in cui, all'esito del ragionamento probatorio, il giudice sia in grado di giustificare, in termini di certezza processuale, la logica conclusione che, se fosse stata posta in essere la condotta doverosa omessa, l'evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significatamente posteriore o con minore intensità lesiva;

la causalità omissiva, pertanto, può sussistere non solo in presenza di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che esprimono un coefficiente prossimo alla certezza, ma anche quando ricorrano criteri medio bassi di ©probabilità c. d. frequentista®, come definiti dalla sentenza in esame, se sono corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa.

22 L'art. 2236 c.c. così statuisce: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”.

23 Sulla rilevanza applicativa delle linee guida in vari settori si rinvia a BONANNO A., Protolli linee guida e colpa specifica, in Indice penale, 2006, pp. 443 e ss.

24Per un'analisi dettagliata dell'impatto delle linee guida dopo la riforma Balduzzi, cfr. CAPUTO M., Filo d'Arianna o flauto magico? Linee guida e checklist nel sistema della responsabilità per colpa medica, in Diritto penale contemporaneo, 2012, pp. 12 e ss. Per un approfondimento dei rapporti tra linee guida e responsabilità per colpa, cfr. CAMPANA T., La correlazione tra inosservanza delle linee guida e responsabilità del medico, in Cass. Pen., 2012, p. 556. Per I problemi sollevati in ordine alle linee guida di contenuto elastico cfr. DI LANDRO A.R., Dalle linee guida e dai protocolli all'individualizzazione della colpa penale nel settore sanitario, Torino, 2012, pp.155 ss.; ATTILI V., Dalla struttura alla funzione (probatoria): il tipo” colposo” nel crogiolo dell'accertamento giudiziale, in Cass. Pen., 2012, p.1594; RISICATO L., Le linee guida e i nuovi confini della responsabilità medico— chirurgica: un problema irrisolto, in Dir. Pen. Proc., 2013, p. 202.

25Cfr. Cass. 19 settembre 2012, n. 35922; Cass. 23.11.2010 n. 8254; Cass. 5.6.2009, n. 38154; Cass. 8.2.2001, Riv.pen. 2002, 253.

26 Cass. 22.11.2011 n. 4391.

27 Cass. Sez. 4, sentenza n. 16237 del 29/01/2013.

28 Per un giudizio positivo sull'introduzione delle linee guida, pur in mancanza di un procedimento di accreditamento, cfr., MARINUCCI G., La responsabilità colposa: teoria e prassi, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2012, p. 3, per il quale: “Molteplici gli scopi delle linee guida: innanzitutto innalzare lo standard della perizia esigibile, garantendo una maggior protezione dei pazienti; in secondo luogo, rendere uniforme in tutto il Paese la valutazione dei giudici sulla sussitenza o meno della colpa, in terzo luogo, rimuovere le resistenze della “casta” dei periti, che a lungo hanno criticato l'introduzione in italia delle linee guida, non potendo più citare questa o quell'opera a sostegno delle loro tesi”.

29 CUPELLI C., Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli— Bianco, Rivista di diritto penale contemporaneo, 2017, p. 3. Cfr. anche Cass. Sent. n. 45527 del 16 novembre 2015, nella quale si legge: “La valutazione del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, nitamente al grado della colpa, costituiscono insieme le premesse per discernere l'ambito del penalmente rilevante in materia di responsabilità del medico”.

30 Cass. 29 gennaio 2013, Cantore, n. 16237, nella quale si legge: “Non vi è dubbio che l'intervento normativo, se sottoposto a critica serrata, mostrerebbe molti aspetti critici. Si è in effetti in presenza, per quel che qui ci interessa, di una disciplina in più punti laconica, incompleta; che non corrisponde appieno alle istanza maturate nell'ambito del lungo dibattito dottrinale e della vivace, tormentata giurisprudenza in tema di responsabilità medica. E' mancata l'occasione per una disciplina compiuta della relazione terapeutica e delle sua patologie”. In dottrina, si rimanda a BASILE F., Un itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 c.c. e legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma), in Diritto penale contemporaneo, 2016, pp. 9 e ss. Si veda anche CANZIO G., I nuovi confini del diritto alla salute e della responsabilità medica, in Giur. It., 2014, p. 2082, il quale ha definito la legge Bal—duzzi “una riforma dalla portata limitata e di non agevole praticabilità”.

31 Cass., 29 gennaio 2013, Cantore, n. 16237.

32 Cass., 29 gennaio 2013, Cantore, n. 16237.

33 Cass., 29 gennaio 2013, Cantore, n. 16237.

34 Cass. 11 maggio 2016, n. 23283. Analogamente nella sent. Stefanetti, Cass. 2014, si legge: “In sede di applicazine della legge Balduzzi, non può escludersi che le linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza, come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera dell'accuratezza di compiti magari non particolarmente qualificati, che quella della adeguatezza professionale”.

35 Cfr. CUPELLI C., Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli Bianco, cit. pag.7

36 In verità, non mancano i primi commenti, tra questi: POLI P.F., Il d.d.l. Gelli Bianco: verso un'ennesima occasione persa di adeguamento della responsabilità penale del medico ai principi costituzionali?, in diritto penale contemporaneo, 20 febbraio 2017; CENTOZE F.— CAPUTO M., La risposta penale alla malpractice: il dedalo di interpretazioni disegnato dalla riforma Gelli Bianco, in Riv. Med. leg., 2016, p.1361. In giurisprudenza, un primo commento sull'applicazione della nuova legge, si ha con Cass., sez. IV sent. n. 16140 del 20 aprile 2017, e riguarda la soluzione del diritto intertemporale applicabile.

37Cass, sez. IV, sent. n. 23283/2016.

38Cfr. CUPELLI C., La colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte), in Rivista di Diritto Penale contemporaneo, 27 giugno 2016, pp. 3 e ss.

39 Sul punto, si richiamano le osservazioni compiute da CUPELLI C., Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli — Bianco, in Rivista di diritto penale contemporaneo, 2017, p. 8. Del resto, anche la classe medica ha evidenziato il rapporto tra la generalità delle raccomandazioni e la specificità della condizione clinica, mostrandosi preoccupata per una eccessiva diminuzione della discrezionalità operativa. In dottrina, si sono mostrati a favore di un richiamo al caso specifico, CEMBRIANI F., La legge Balduzzi e le pericolose derive di un drafting normativo che (forse) cambia l'abito alla responsabilità giuridica del professionista della salute, in Riv. Med. Leg., 2013, vol. 2, pp. 800—818 e ss.; INTRONA F., Metodologia medico legale nella valutazione della responsabilità medica per colpa, in Riv. it. med. Leg., 1996.

40 In questo senso, cfr. EUSEBI L., Appunti per una pianificazione terapeutica condivisibile, in Riv. Ital. Di med. Leg., Giuffrè, Milano, 2016, p. 1115.

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