ISSN electrónico: 2145-9355
Nº 31 enero-junio de 2009

Fecha de recepción: 13 de noviembre de 2008
Fecha de aceptación: 3 de febrero de 2009


IMMIGRAZIONEIMMIGRAZIONE, CRIMINOLOGIA CRITICA E DISOBBEDIENZA CIVILE: IL CASO DI VIA ANELLI A PADOVA*

Carlos Andrés Orozco Arcieri**

** Doctorando en Derecho con especialidad en sociología jurídico-penal en la Facultat de Dret y el Observatorio del Sistema Penal y los Derechos Humanos (OSPDH) de la Universitat de Barcelona, España. Master in Criminologia critica, Prevenzione della devianza e Sicurezza sociale del Dipartimento di Sociologia (Facoltà di Scienze Politiche) della Università degli Studi di Padova, Italia. Profesor de la Universidad del Norte. corozco@uninorte.edu.co


Resumen

El uso de la perspectiva macro-sociológica en función teórica y práctica, en el estudio y en la interpretación de los resultados de la investigación acerca del ghetto de Via Anelli, además de desenmascarar las condiciones de marginalización de los inmigrantes, nos permite el desarrollo de conceptos normativos que hacen posible el reconocimiento y la defensa de los derechos constitucionales de los más vulnerables.

Palabras clave: ghetto, inmigración, criminalización.


Abstract

L’uso della prospettiva macro-sociologica in funzione teorica e pratica nello studio e nell’interpretazione dei risultati della ricerca su via Anelli, oltre a smascherare le condizioni di marginalizzazione degli immigrati, ci permette lo sviluppo di concetti normativi che rendono possibile il riconoscimento e la difesa dei diritti costituzionali dei più deboli. Parole chiavi: ghetto, inmigración, criminalización.


1. INTRODUZIONE

L’approccio critico verso le politiche criminali adottate in Italia dalla metà degli anni ’70 ad oggi è stato una costante nel percorso del Master in Criminologia critica, Prevenzione della devianza e Sicurezza sociale. La concretezza degli effetti drammatici del carcere nel rapporto dirittosocietà ci porta a riconoscere, dal punto di vista della sociologia giuridica, la validità del paradigma dell’ambivalenza e dei paradossi della penalità. Infatti le ricerche presentate e analizzate nel nostro corso, [in particolare, Cfr. Mosconi G. (2000), Mosconi G., Padovan D., Padovano S., Paduanello M., Sbraccia A., Faiella F. (2004)], dimostrano la "dimensione di distonia e di caotica disgregazione" del diritto. L’ipotesi di lavoro in cui si assume il nesso di continuità tra società e diritto come interrotto rischia però, dinnanzi ai risultati delle ricerche nominate, di rimanere una leggerezza che trascina lungo il vuoto. Ciò è evidente quando spinti dall’interesse di considerare i rapporti sociali nella loro fisicità, pienezza ed autonomia, trascuriamo il potere comunicativo che il diritto porta con sé.

L’uso della prospettiva macro-sociologica in funzione teorica e pratica nello studio e nell’interpretazione dei risultati della ricerca su via Anelli [Butticci A., Faiella F., Sacchetto D., Sbraccia A., Vianello F. (2006)], oltre a smascherare le condizioni di marginalizzazione degli immigrati, ci permette lo sviluppo di concetti normativi che rendono possibile il riconoscimento e la difesa dei diritti costituzionali dei più deboli. In altre parole ciò che in questa sede cercheremo di fare è di avanzare il rovesciamento dell’ipotesi di lavoro dell’interruzione del nesso dirittosocietà per un’ipotesi ulteriore in cui l’atteggiamento macro-sociologico, adoperato per definire un orizzonte esplicativo e interpretativo entro il quale sono riguardati i singoli fenomeni, abbia il vantaggio di produrre meccanismi giuridici di riconoscimento dei diritti costituzionali.

Il nostro lavoro teorico1 è diviso in due parti generali, ognuna contiene a sua volta tre capitoli. Nella prima parte ci occuperemo dell’immigrazione e del suo rapporto all’interno della società italiana. Nel primo capitolo faremo una breve presentazione dei dati attuali sull’immigrazione [2. IMMIGRAZIONE E CRIMINOLOGIA CRITICA: L’IMMIGRAZIONE EXTRACOMUNITARIA (I dati attuali)]: la statistica sull’immigrazione regolare, irregolare, clandestina; nonché la statistica sulla forza lavoro immigrata. Tenendo conto di questi dati cercheremo di introdurre una serie di concetti teorici [3. IMMIGRAZIONE E CRIMINOLOGIA CRITICA: L’IMMIGRAZIONE EXTRACOMUNITARIA (Una possibile lettura dei dati)] come il post-fordismo, i giochi di verità, e la soggettività, dentro di una criminologia cosiddetta critica. Nel secondo capitolo analizzeremo i processi di criminalizzazione degli immigrati in Italia; e per raggiungere questo scopo introdurremo brevemente delle statistiche [4. PROCESSI DI CRIMINALIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA: la statistica], analizzeremo le normative sull’immigrazione [5. IMMIGRAZIONE E NORMATIVA SULL’IMMIGRAZIONE], e osserveremo le ricerche che hanno evidenziato la criminalizzazione come processo sociale di controllo e come controllo giuridico-penale [6. IMMIGRAZIONE E PROCESSI DI CRIMINALIZZAZIONE]. Nel terzo capitolo introdurremo il concetto di opinione pubblica politica habermasiano. Prima però sarà necessario illustrare la situazione di sottomissione dell’opinione pubblica nei confronti dei mass media: la perdita della sua capacità di partecipazione [7. OPINIONE PUBBLICA POLITICA: I mass media e la sconfitta della partecipazione], le contraddizioni sociali verso questioni come la sicurezza o la criminalità [8. I MASS MEDIA E LA CRIMINALITÀ]. Questo per finalmente analizzare il concetto di Öffentlichkeit [9. ÖFFENTLICHKEIT].

Nella seconda parte ci occuperemo in un primo momento del concetto di società civile e movimenti sociali: analizzeremo il concetto di società civile in Gramsci [10. IMMIGRAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE: SOCIETÀ CIVILE], il passato dei movimenti sociali in Italia [11. I MOVIMENTI SOCIALI IN ITALIA], e lo stato attuale dei nuovi movimenti sociali [12. I NUOVI MOVIMENTI SOCIALI]. Per ultimo, faremo riferimento a due casi particolari di resistenza da parte degli immigrati extracomunitari: il caso del lavoro stagionale nella zona della Piana di Gioia Tauro e il caso delle sostituzioni di lavoratori maghrebini per lavoratori dell’Est-Europa nel Veneto [13. IMMIGRAZIONE E RESISTENZA]. Nel capitolo successivo discuteremo sul quale sia l’interpretazione che si debba dare alle norme costituzionali, in riferimento al concetto di cittadinanza [14. DISOBBEDIENZA CIVILE: Immigrazione, diritti e cittadinanza], per introdurre finalmente il concetto di disobbedienza civile e le sue particolarità [15. IMMIGRAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE]. E infine nell’ultimo capitolo faremo a modo conclusivo qualche considerazione [16. VALUTAZIONI CRITICHE].

2. IMMIGRAZIONE E CRIMINOLOGIA CRITICA: L’IMMIGRAZIONE EXTRACOMUNITARIA (I dati attuali)

a) l’immigrazione regolare

Gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia alla fine del 2004 erano 2.786.340, con un’incidenza media sulla popolazione del 4,8%2. Al luglio 2005, l’XI Rapporto ISMU (reso noto nel marzo 2006) indica che il numero complessivo di immigrati stranieri in Italia è raddoppiato negli ultimi 3 anni e triplicato negli ultimi 15, raggiungendo oggi i 3,3 milioni che costituiscono il 5,7% della popolazione complessiva3. Intanto, secondo l’ISTAT, gli stranieri presenti in Italia cresceranno al ritmo di 150.000 unità all’anno: "con questo trend, i cittadini immigrati nel 2050 saranno 6.750.000"4.

b) l’immigrazione irregolare e clandestina o illegale

L’immigrato irregolare è lo straniero entrato regolarmente in un Paese ma che ha perso i requisiti necessari per la permanenza nello stesso e dunque privo di permesso di soggiorno. L’immigrazione illegale o clandestina è quella che non rispetta le norme che regolano l’ingresso e il soggiorno di stranieri in uno Stato; cioè lo Straniero è entrato in un Paese senza avere i requisiti richiesti dal Paese stesso 5. L’ISMU stima che gli irregolari in Italia siano 540.000, concentrati soprattutto nel Sud (un quarto di essi) e nei grandi centri urbani6.

c) la forza lavoro degli immigrati

Gli immigrati oggi presenti in Italia sono provenienti da 191 Paesi diversi. Rappresentano il 9% (2,16 milioni) della forza lavoro regolare in Italia7, "con punte del 12% nel manifatturiero, del 15% in agricoltura, del 20% in edilizia, del 80% nel lavoro domestico"8.

Gli immigrati però, subiscono delle forti discriminazioni soprattutto nell’ambito lavorativo, dal punto di vista delle opportunità nonché delle disuguali condizioni di lavoro: solo uno straniero su 10 occupa un impiego ad alta qualifica, mentre tra gli italiani il rapporto è di 3 su 109. Nel settore edilizio e, in genere, tra gli operai comuni, la situazione arriva a livelli allarmanti di disparità: "Gli operai comuni sono cresciuti del 350% in cinque anni, tra il 1999 e il 2004, ed a loro vengono affidate le mansioni più dure e meno retribuite. Nel 2004, il 67% dei lavoratori stranieri del settore edilizio era inquadrato tra gli operai comuni, mentre, complessivamente, la quota di operai comuni nel settore arrivava al 37%. Di contro, gli operai specializzati e di IV livello rappresentavano il 9% della forza lavoro straniera e il 30% della forza lavoro complessiva"10.

Gli operai immigrati sono colpiti fortemente dagli infortuni: gli infortuni mortali sono cresciuti del 18,75% in un anno. L’aumento degli infortuni registrato per i lavoratori immigrati nel 2004 è stato pari al 6,6%, in controtendenza rispetto a quanto avviene tra i lavoratori italiani. Infine, gli infortuni mortali accaduti a lavoratori stranieri sono stati 161 nel 2003, di cui otto in agricoltura, per salire a 167, di cui 17 in agricoltura, nel 200411. Nel campo del lavoro irregolare "molto spesso gli infortuni, soprattutto di lieve entità, non vengono denunciati; quelli gravi e mortali vengono spostati di luogo e di causa"12.

A parità di mansioni, i lavoratori emersi (molto più drammatica è la situazione di quelli irregolari), guadagnano mediamente il 24% in meno rispetto agli operai italiani. Per chi invece era già regolare, il differenziale retribuito assomma al 20%. Un operaio di terzo livello italiano percepisce 19.869 euro per 13 mensilità, un operaio straniero regolarizzato prima del 2002 riceve 15.895 euro, un operaio neoregolarizzato arriva a 15.100 euro13.

3. IMMIGRAZIONE E CRIMINOLOGIA CRITICA: L’IMMIGRAZIONE EXTRACOMUNITARIA (Una possibile lettura dei dati)

a) Immigrazione e postfordismo

Il fenomeno delle migrazioni internazionali dai Paesi del sud verso i Paesi del nord è determinato da una serie di politiche economiche proprie del capitalismo odierno, soprattutto nella sua fase neoliberale e ancora oggi imperiale. Cercando d’individuare quali siano le caratteristiche o i particolari della attuale economia mondiale è interessante ribadire la metafora del «postfordismo»14. Il termine postfordismo "si è formato sulla base dell’uso gramsciano - all’inizio del Novecento del termine «fordismo», che denotava il mutamento complessivo della civiltà capitalistica (che certo Gramsci non ridusse a epifenomeno della struttura economica)"15. Il «Postfordismo» fa pensare a un’epoca del tutto nuova, diversa dall’era della produzione di massa, con i suoi prodotti standardizzati, le concentrazioni di capitale e la forma «tayloristica» della sua organizzazione del lavoro. Esiste però, il dubbio sulla vera esistenza del postfordismo e — in tal caso — "che cosa esattamente sia e quanto sia diffuso, se riguardi singole economie o attraversi tutte le economie industriali avanzate dell’Occidente"16.

Dentro del panorama della crisi del welfare europeo, fenomeni come l’indebolimento delle vecchie solidarietà collettive e delle identità di gruppo, la maggiore frammentazione e il pluralismo sociale, "e l’emergere di nuove identità, oltre all’esasperazione delle scelte individuali mediante il consumo personale", sembrano identificare le conseguenze di un profondo sviluppo del postfordismo dentro della struttura della politica economica: "è diminuito il numero degli operai di sesso maschile, specializzati e non, ed è aumentato il numero dei colletti bianchi e di chi lavora nel terziario avanzato. Nell’ambito del lavoro salariato, c’è più lavoro flessibile e part-time, in accordo con la «femminilizzazione» ed «etnicizzazione» della forza lavoro…c’è un’economia dominata dalle multinazionali, con la loro nuova divisione internazionale del lavoro e la loro crescente autonomia rispetto al controllo esercitato dagli stati nazionali"17. Su questo trasfondo si costruisce un nuovo diagramma disciplinare e una nuova definizione del campo della biopolitica postfordista, e che viene legittimata anche dalle organizzazioni internazionali sotto una strategia imperiale in termini d’interesse generale: "è in questo contesto che la categoria della ‘migrazione’ dà luogo ad nuovo campo discorsivo che apre il terreno alle nuove direttrici di governabilità imperiale"18.

Il «post-fordismo» allora, viene inteso come "quel processo di globalizzazione e profonda ristrutturazione dell’economia che ha posto profondamente in discussione l’ordine socio-economico emerso all’indomani della seconda guerra mondiale. Il trasferimento del centro strategico della produzione dal settore industriale a quello dei servizi e la perdita di centralità della vecchia produzione "di fabbrica" a favore di una produzione basata sull’informazione elettronica, e dunque assai più leggera, decentrata e flessibile, si sono accompagnati alla progressiva marginalizzazione di una classe operaia di fabbrica formata sostanzialmente da maschi sindacalizzati a favore dell’emergere di una nuova classe operaia profondamente divisa, più giovane, povera e in buona parte femminile. La conseguente "disorganizzazione morale" della "vecchia" classe operaia è andata di pari passo con l’emergere di strati sociali di ricchezza crescente, avidi di consumo sia lecito sia illecito. La campagna ideologica, e le opportunità pratiche, per una nuova imprenditoria hanno quindi ridiretto l’impegno di molti, tra cui numerosi immigrati verso la fornitura di sostanze e servizi legati al mercato informale anche di natura illecita"19.

b) Immigrazione e giochi di verità

La popolazione immigrante, nella sua mobilità verso il nord, è determinata da una serie di discorsi (un movimento di oggettivazione), che la determina come oggetto di sapere e come oggetto di pratiche di potere20. Tutto ciò è determinante, allo stesso modo, nelle analisi del rapporto tra movimenti demografici, processi migratori e dinamiche economiche: "l’analisi della trasformazione, in quantità e qualità della popolazione (tassi di crescita e modificazione della composizione per aree socio-economiche e geografiche, propensione alla mobilità, spostamenti)viene direttamente connessa ai processi economici di produzione e consumo della ricchezza (tassi di occupazione, quantità e qualità della forza lavoro, domanda e offerta di lavoro per settori produttivi)"21.

Si tratta, insomma, della costituzione di uno status che rende possibile la governabilità22 e il dominio di un nuovo ordine sociale internazionale (che in realtà la sua unica novità è lo spostamento migratorio)23. Non si tratta quindi di frenare, impedire, bloccare o proibire la migrazione internazionale, bensì di farla diventare una posta in gioco nell’economia del potere e, come effetto, un luogo di giochi di verità: "per governarla utilmente, all’incrocio fra ‘anatomo-politica del corpo umano’ (dressage, potenziamento attitudine e docilità) e ‘biopolitica della popolazione’ (corpo-specie, corpo attraversato dalla meccanica del vivente)"24. I giochi di verità vengono attivati, in primo luogo "appellandosi alla ‘umanità’", naturalizzando "quello che è invece storicamente determinato (le migrazioni). In secondo luogo, si prende in carico la vita (benessere, sicurezza, protezione) per difenderla. Lungo questa via, in terzo luogo, si sostituisce la legge (diritto, giurisprudenza, legislazioni nazionali) con la norma (entrano in campo le scienze dell’uomo). Da qui, infine, la definizione di una ‘medicina sociale ‘ che demarca la linea di separazione fra ciò che può essere ritenuto socialmente accettabile (movimento di migranti economici) e ciò che invece rappresenta un pericolo sociale (irregolarità e clandestinità)"25.

c) Immigrazione e mercato del lavoro

Le migrazioni, soprattutto quando avvengono per motivi di lavoro e per risolvere una situazione di povertà26, pongono sempre il problema della condizione di debolezza27, dovuta a una situazione che accompagna lo straniero dall’ inizio del suo percorso migratorio e che lo porta a dover adattarsi a qualunque condizione incontri nel paese di arrivo. Sono episodi spesso radicati tra l’indifferenza e le accuse di invasori28, infine tra pregiudizi sociali e un latente razzismo, che portano via via lo straniero verso la sua emarginazione: "la condizione di debolezza delle fasce più deboli del lavoro mondiale appare normale, naturalmente accettabile e giustificabile, occultando i processi storici di produzione della vulnerabilità"29.

Tutto ciò accade nelle cosiddette democrazie più avanzate, giacché fa parte di un ulteriore piano economico e politico internazionale: "sul piano economico si tratta di trasformare i migranti in una risorsa produttiva, ossia farne forza valorizzatrice del capitale ed elemento interno alla dinamica accumulativa mondiale (farne una forza di crescita e sviluppo). Sul piano politico, si tratta di gestire ‘ordinatamente’ questo processo (prevenire flussi e traffici clandestini). Individuando un interesse sociale generale a livello globale: i benefici dovranno essere per tutti, sia in termini di sviluppo, sia in termini di ‘diritti umani’"30. Invece, quello che appare più reale è la produzione di un discorso che permette ancora una politica globale di sfruttamento delle fasce sociali più deboli. Tutta la produzione discorsiva delle organizzazioni internazionali sulla migrazione ha una precisa preoccupazione: "il controllo della riproduzione del proletariato mondiale. Si tratta di riannodare, a questo livello, il nesso sussistenza lavoro salariato per costringere i nuovi bisogni e l’accesso ai consumi dentro la forma-salario. Compatibilmente all’allargamento dei margini di profitto erosi dall’ abbassamento dei margini di ricavo sui costi"31.

d) Immigrazione e soggettività

La possibile variabile che ci permetterebbe di rovesciare questo processo migratorio di marginalizzazione, per lo meno teoricamente, è quella di utilizzare nella nostra ricerca il concetto di soggettività32: "In prima approssimazione, possiamo dire che il concetto di soggettività esprime un movimento immanente ai rapporti sociali capitalistici, prodotto da quelle forze sociali che, sottoposte ad una condizione di dominio, di subalternità e di marginalizzazione all’interno di spazi sociali asfittici prodotti dal capitale, sono costrette ad affermare la molteplicità delle proprie modalità di esistenza (forme di vita materiale, sociale e simbolica) come pratiche di resistenza. Nel contempo, agendo all’interno di specifici campi di potere, pongono in essere strategie, relazioni ed elaborazioni di senso che, laddove non siano ricomponibili all’interno di un diagramma di potere/sapere, spingono il capitale a una destrutturazione/ristrutturazione del suo ordine sociale e produttivo"33. E perciò è necessario partire dal presupposto secondo cui "la determinante dei processi di normalizzazione nel capitalismo contemporaneo è ancora la riproduzione della forza lavoro e quindi il controllo del proletariato su scala globale. Condizione imprescindibile dell’accumulazione capitalistica è la costituzione/ricostituzione di un ordine sociale in cui la vita è sussulta quale condizione della valorizzazione. La riproduzione dei rapporti sociali, in cui il capitale è "il mostro che tutto domina" (Marx), è dunque assunto come campo di battaglia per la produzione di soggettività".

Questo concetto di soggettività se non rende più auspicabile una possibile trasformazione delle marginalizzazione in favore degli immigrati, per lo meno ci permette (sicuramente) di de-strutturare i discorsi di legittimazione delle democrazie più avanzate evidenziando i suoi fallimenti e le sue menzogne: "In definitiva, come previsto da Marx ed Engels nelle pagine del Manifesto, nella nostra epoca la funzione del Capitale (e dello Stato) ormai non consiste più nello stimolare sostanzialmente il progresso delle capacità produttive della socialità — come durante l’epoca industriale —, bensì coincide col frustrare queste, per esempio definendo clandestini, alieni ed illegali (illegal aliens) parte importante del corpo produttivo, per potere eseguire in forma a volte selettiva, a volte stocastica, l’espulsione dei quei soggetti le cui forme di presenza ed attivazione eccedono la capacità di governo del cambio sociale da parte dello Stato, od i limiti del processo di produzione che valorizza i capitali".

4. PROCESSI DI CRIMINALIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA: la statistica

L’indulto dell’estate scorsa ha modificato i dati della popolazione immigrante detenuta in Italia. Tuttavia riteniamo opportuno precisare le percentuali del 2005: le statistiche penitenziarie segnalano che la popolazione immigrante detenuta in Italia arriva al 35%. Nel Veneto questa percentuale supera il 50%. Alla Casa circondariale di Padova, "segnaliamo una presenza di detenuti immigrati che si attesta intorno all’80% sul totale dei reclusi"34. Nel breve volgere di pochi anni la presenza dei detenuti di provenienza extracomunitaria sono balzati da meno del 5 a più del 40 per cento35.

Tenendo in conto che la percentuale della popolazione immigrante in Italia è del 4,5 per cento sul totale della popolazione italiana, allora la presenza extracomunitaria in carcere individua un fenomeno criminogeneo: "quello che è avvenuto in Italia negli ultimi 15 anni (i primi d’immigrazione statisticamente rilevanti) è stato che l’incarcerazione massiccia dei migranti ha anticipato la stabilizzazione di ambienti urbani segregati"36. E questo fenomeno criminogeneo ha come conseguenza la marginalizzazione della popolazione immigrata adagiata tra le sbarre nonché ghettizzata ai margini della città37.

5. IMMIGRAZIONE E NORMATIVA SULL’IMMIGRAZIONE

Il governo italiano ha contribuito all’aumento della clandestinità soprattutto adottando misure assai selettive per gli ingressi legali38. Questa distinzione fra migranti regolari e clandestini, che sembrerebbe un’esclusione democratica, nasconde le sue finalità di controllo39: "Dal Lago, analizzando la doppiezza di regime e le misure di polizia e di internamento già introdotte dalla precedente normativa italiana in materia di immigrazione — la cosiddetta legge Turco napoletano —, sottolinea il fondamento di una "esclusione democratica" che, a partire dalla distinzione fra migranti regolari e clandestini, contempla dichiarazioni di principio garantiste dei diritti civili per i primi e insieme a pure e semplici misure di polizia per i secondi. Le finalità di disciplinamento sono poi evocate ricorrendo al Marx del Primo Libro de il capitale, che analizza la relazione tra trasformazione economiche e condizioni giuridiche delle persone. Descrivendo il vagabondare dei contadini espulsi dalla terra all’inizio dell’era moderna e criminalizzati da una "legislazione sanguinaria", Marx evoca l’orrore del doppio disciplinamento del lavoro "libero": la fabbrica e la forca, che per Dal Lago precorre in un certo senso la coppia "lavoro nero/repressione di clandestini" dei giorni nostri. Tale lettura è però da inscrivere in una strategia di governo più ampia, cha associa disciplina e controllo e che fa del principio di less eligibility un crocevia fra mercato del lavoro, governo del sociale e politiche repressive. I primi due elementi definirebbero la situazione dello "strato proletario marginale" che, a sua volta, definirebbe lo spazio di azione delle strategie di controllo"40. In realtà, la clandestinità non è che l’effetto di determinate politiche migratorie41 e l’introduzione del paradigma del nemico: "innestandosi sulla filosofia sicuritaria, il "paradigma del nemico" orienta il diritto speciale dei migranti in una triplice direzione: respingere il migrante clandestino (anzi, come è emerso dall’analisi del segno delle politiche migratorie, il migrante tout court) attraverso il ricorso a fattispecie di attentato che incriminano il favoreggiamento delle migrazioni illegali, ma anche con l’attribuzione a corpi militari di funzioni e poteri extra-territoriali di polizia giudiziaria; inseguirlo nel territorio dello Stato, attraverso la fattispecie incriminatrice del favoreggiamento della permanenza contra ius, funzionale a fare "terra bruciata" intorno allo straniero irregolare; allontanarlo, una volta individuato, attraverso un congegno penal-amministrativo in forza del quale i principi e gli scopi dell’ordinamento penale — del diritto e della procedura penale — vengono piegati, asserviti all’attività amministrativa preordinata all’allontanamento del nemico della società, lo straniero"42.

6. IMMIGRAZIONE E PROCESSI DI CRIMINALIZZAZIONE

a) l’approccio riflessivo

Nell’analisi della rappresentazione del crimine e del criminale, l’approccio riflessivo43 è una metodologia che ci offre la possibilità d’intravedere (e denunciare) le forme di discriminazione "strutturale", specificamente dirette agli stranieri, che operano nel sistema della giustizia penale: "si tratta quindi della criminalità che solo gli stranieri possono commettere, cioè delle infrazioni alle norme sull’immigrazione (o commesse allo scopo di aggirare questo tipo di norme, come molti reati di falso). Si riscontra inoltre una più alta incidenza della custodia preventiva in attesa di giudizio e della mancata applicazione di tutti i benefici in fase di esecuzione della pena, poiché in quasi tutti i sistemi giuridici è necessario, al fine di evitare la custodia cautelare o di godere della sospensione condizionale o della probation, essere in grado di dar conto di sé rispetto a tutta una serie di aspetti che per gli stranieri presentano maggiori difficoltà, come un’identificazione legale, una residenza legale e stabile, un lavoro e/o un reddito. Per certi gruppi di stranieri i tassi di partecipazione all’attività criminale rimangono in ogni caso elevati anche dopo aver depurato i dati di tutti questi elementi. Si apre così il campo a spiegazioni di tipo criminogenetico, come per esempio la teoria della frustrazione strutturale o qualche variante della teoria del conflitto culturale"44.

b) esclusione sociale ed effetto specchio

Dentro l’universo linguistico di cui si serve il sistema politico, appaiono una serie di concetti e luoghi comuni presi a caso: integrazione, rispetto delle regole, e così via. In realtà le politiche e le reazioni assunte dalle istituzioni italiane sfuggono una dialettica di integrazione-non integrazione, rispetto delle regole-non rispetto delle regole: ciò che accade è la messa in atto di politiche che cercano la marginalizzazione, la precarietà e la vulnerabilità degli immigrati. Perciò dobbiamo correggere questo forme ideologiche "soprastrutturali" — che sarebbero determinate da quegli elementi. Tale disagio ha indotto a sottolineare il ruolo "autonomo" delle forme culturali e il modo in cui tale autonomia reagisce sulle variabili "strutturali", quali quelle legate all’economia…Questa è la ragione per cui intendiamo sottolineare il tema delle cangianti rappresentazioni del crimine e dei criminali. Con il termine "rappresentazione" ci riferiamo all’immagine del "criminale" che emerge in una varietà di discorsi, che spaziano da quello criminologico a quello pubblico sino alla rappresentazione di tipo estetico: un ritratto che dà vita a un "tipo" distinto, dotato di caratteristiche morali, fisiche e sociali identificabili e tipiche, che almeno in parte variano tuttavia a seconda della sua collocazione temporale e spaziale…Anche se la descrizione della teoria sociale è espressa nella "forma ridotta" di un rapporto diretto fra struttura sociale e penalità, in disappunto (sicuramente non è un innocente sbaglio) sottolineando la dialettica inclusione-esclusione. E questa meritevolezza di esclusione45 degli immigrati funziona insieme a politiche repressive di tolleranza zero nei loro confronti: "La pratica della nuova esclusione sociale impone l’adozione di una cultura e di una strategia di difesa sociale da chi è escluso. Si scopre il diritto alla sicurezza dalla criminalità, come diritto di difesa da chi, non potendo essere incluso, sarà comunque sempre avvertito come pericoloso. In quest’ottica le politiche sicuritarie del postwelfare hanno qualche cosa a che vedere con il panico sociale della prima metà del XIX secolo nei confronti delle «classi pericolose». Allora, come oggi, la questione era quella del governo di un’eccedenza sociale; solo che allora l’esclusione dalla disciplina del salario che rendeva i poveri pericolosi era vissuta come un’emergenza transitoria, in quanto si poteva confidare in un riequilibrio del mercato del lavoro; oggi no. La soglia di accesso alla tutela dei diritti nel presente non può più passare attraverso l’inclusione nella cultura del lavoro"46.

c) giudizio direttissimo ovvero il diritto penale medievale

Nel sistema penale italiano esistono due tipi diversi di processi: the guaranteed trials ovvero i processi fatti rispettando le garanzie costituzionali e the routine trials ovvero i processi fatti senza il rispetto delle garanzie47. Il processo per direttissima48 è uno di questi tipi di processi: "the Italian Criminal Justice System, at least in the processo per direttissima, induces the defendants to accept a summary justice. The advantage for the system is a quick sentence without waste of time and money for a trial; the advantage for the defendant is a punishment reduction. But are there any advantages for the general sense of Justice? Is the principle of equality of everyone in front of the law, respected or, when all is said and done, just rich people and rich criminals can take delight of the guarantees of an ordinary trial?"49.

Il processo per direttissima viene applicato soprattutto agli immigrati: "the variables related to the processo per direttissima can be the more frequent contacts of non-E.U. immigrants with the Police; the massive use of the plea bargaining; the indifference of the difensore d’ufficio for the trial, especially when the defendant is a non E.U. immigrant; the lack of communication among the defendant and the Criminal Justice System administrators. It seems that the Criminal Justice System is operating in a selective manner toward non-E.U. immigrants. This selectivity seems to start at the moment of the arrest, when it occurs the first contact of the immigrant with the operators of an agency of formal social control (Police, Carabinieri, Polizia Municipale)"50. Quindi lo status51di immigrato è fattore non solo di criminalizzazione primaria (con reati come la clandestinità) ma anche fattore di criminalizzazione istituzionale o secondaria (con processi giudiziari incostituzionali come il processo direttissimo)52. E dentro di questo processo per direttissima, appaiono figure come il patteggiamento che non altro che l’assenza delle garanzie minime di difesa: "if the rito abbreviato is definable as a summary trial, the patteggiamento is certainly the total absence of a trial. In both cases, the clear consequence is a lack of all the defendant’s guarantees"53.

Tuttavia la criminalizzazione istituzionale o secondaria viene anche elaborata e costruita socialmente nell’atteggiamento delle forze dell’ordine o dei magistrati verso gli immigrati. Nella ricerca condotta attraverso l’osservazione partecipante della fase dibattimentale di 100 processi, svoltasi nella Pretura di Torino, Sezione Penale, nel corso del periodo che va dall’aprile all’ottobre 1993, principi come la presunzione d’innocenza o dell’onere della prova vengono negati agli immigrati: "la colpevolezza dell’imputato, considerata la sua abitualità al crimine o la sua tossicodipendenza, in questi processi è spesso data per implicita, avvenendo in tal modo una sorta di diabolica inversione del principio dell’onere della prova e della presunzione d’innocenza"54. E quindi si osserva come la disuguaglianza sostanziale determina l’uguaglianza formale, in quanto la differenza di risorse economiche e culturali a disposizione degli imputati, pur tollerate di diritto, intacca in modo rilevante il principio formale dell’uguaglianza di trattamento degli imputati55. Nella ricerca sulla Fabbrica dei Delinquenti, svolta nella città di Padova (e studiata nel nostro Master), abbiamo osservato l’applicazione dei meccanismi di riproduzione della giustizia di routine così come sono gestiti dagli operatori del diritto penale. Anche qui lo status d’immigrato è stato fattore criminogeneo: "la personalità di un immigrato clandestino, senza lavoro, senza residenza e spacciatore, è valutata non tanto sulla base del suo effettivo comportamento contingente, che pure viene tenuto in considerazione, ma piuttosto in virtù dei generici caratteri attribuiti alla generalità degli individui che condividono la sua stessa identità sociale"56.

7. OPINIONE PUBBLICA POLITICA:

I mass media e la sconfitta della partecipazione

I media hanno suscitato e suscitano atteggiamenti contrastanti, di accettazione o di rifiuto: alcuni li ritengono un’occasione di allargamento culturale e di democratizzazione; altri invece li considerano strumenti di manipolazione e di controllo sociale. Questa differenza di valutazione spesso corrisponde ad una diversità di approccio metodologico. Gli studiosi di communication research57, ad esempio, analizzano i media all’interno di discipline diverse, come la sociologia, la semiotica, la psicologia, l’informatica, le modalità tecnologiche e di produzione, l’impatto sul pubblico, i contenuti e la forma della comunicazione, gli effetti e le funzioni sociali, le modalità di ricezione e di fruizione, ecc. Le molteplici teorie elaborate non esauriscono però la comprensione del fenomeno, che si presenta come uno dei più complessi dell’epoca attuale.

Il monologo collettivo dei media58 e la sua costruzione della realtà determinerebbero la sconfitta della partecipazione: "se occorre andare a casa per sapere attraverso i media che cosa accade fuori, i media deprivatizzano la sfera privata, ma non per questo accrescono la dimensione pubblica. Al pari della casa, infatti, anche il pubblico è solo un luogo in cui siamo e non con cui siamo, per cui, oltre a deprivatizzare il privato, i media depubblicizzano il pubblico, ponendo ogni singolo individuo in quel dovunque i messaggi lo portano, sia in casa, sia in pubblico"59.

Dall’altra parte, e dato il loro impatto sociale, i mass media hanno assunto un notevole potere in termini politici ed economici. I grandi industriali e gli uomini dell’alta finanza hanno verificato che gli strumenti di comunicazione sono molto vantaggiosi anche dal punto di vista dei profitti (grazie agli ingenti introiti della pubblicità) e hanno quindi intrapreso una vera e propria corsa per impossessarsi del maggior numero possibile di emittenti radiotelevisive, quotidiani e periodici. Si è così verificato un fenomeno sociale nuovo, quello della concentrazione delle testate, cioè della riunificazione nelle mani di un unico proprietario di molti e diversi mezzi di informazione60. A sua volta, i mass media cercano di sottomettere l’opinione pubblica in un processo di monopolizzazione che il potere economico realizza, attraverso la progressiva concentrazione delle imprese e delle banche; e la monopolizzazione del potere ideologico che attraverso il controllo dei mezzi della pubblica opinione attuano gli stessi detentori del potere economico61.

Tutto ciò rende problematica (o per lo meno incerta) la possibile formazione di un’opinione pubblica politica che possa ancora divenire un punto critico di confronto nelle società, soprattutto nelle questioni politiche più manipolabili come l’immigrazione, la criminalità o il carcere. Precisamente per questo, e prima di analizzare il concetto di opinione pubblica politica habermasiano5962, dovremmo analizzare il rapporto opinione pubblica-criminalità, per rendere ancora più complesso l’analisi.

8. I MASS MEDIA E LA CRIMINALITÀ

La criminalità degli immigrati è una costruzione sociale. Il governo nazionale, la pubblica amministrazione, le forze dell’ordine, il sistema giudiziario, i mass media, i partiti politici, i comitati di quartiere e gli imprenditori morali attivi a livello locale, intellettuali ed esperti, sono gli attori sociali che utilizzano la criminalità degli immigranti come categoria pratica per riconoscere, classificare, descrivere, identificare e spiegare la realtà sociale63. A questa rappresentazione64 viene legato l’uso politico della criminalità come capro espiatorio65. La realtà però ci indica che la clandestinità del mercato del lavoro straniero66 si vincola ad un processo di criminalizzazione dove la reazione sociale non è innocua: "…si pone in essere un circuito, veramente vizioso, criminalizzantepenalizzante, tra criminalità, debolezza sociale e criminalizzazione, per cui certi strati sociali sono più a rischio di criminalizzazione nel doppio senso di entrambi i poli del processo di criminalizzazione, e cioè sia quello di commettere atti criminali sia di essere così etichettati socialmente. La reazione sociale non è certo la sola ragione della criminalizzazione ma concorre a riprodurre una situazione complessiva di emarginazione, esclusione sociale, debolezza che produce tra l’altro più alti tassi di criminalità - una criminalità che diviene a sua volta legittimazione per una maggiore attenzione da parte della reazione sociale sia di tipo informale che formale, e così via"67.

Nel caso particolare di via Anelli, i media locali (quotidiani e televisione) sono stati i primi responsabili della rappresentazione pubblica68. Di fatto l’esplosione dell’allarme sulla sicurezza urbana a Padova fu una reazione politica dovuta, tra l’altro, alla colpevole indifferenza della giunta di centro sinistra nella seconda metà degli anni novanta e all’azione dei media che promossero l’arrivo della politica "della legge e dell’ordine" della giunta di centro destra69. L’ossessione pubblica della sicurezza e il trionfo dell’ideologia di mercato, la microcriminalità e il ruolo distruttivo della presenza degli stranieri70, altro che dati empirici per una politica determinata, sono categorie pratiche che permettono ai politici di turno di fare uso delle politiche più sbagliate e illegittime, dal punto di vista costituzionale, ma altamente vantaggiose per prendere voti nelle elezioni politiche.

Quindi se lo status sociale degli abitanti nel complesso la Serenissima non è una realtà del tutto precostituita rispetto alle reazioni istituzionali che si riscontrano nei suoi confronti nella città di Padova, "lo stesso deve valere per le reazioni non-istituzionali, perché l’effetto stigmatizzante della reazione dell’opinione pubblica sullo status sociale degli immigranti non è meno rilevante di quello proprio dell’azione degli organi della repressione penale"71.

In merito all’irruenza e influenza dell’opinione pubblica sulle dinamiche politico-sociali possiamo verificare la validità dei paradossi della penalità72. Paradossi che, inoltre, sono il sintomo del profondo radicamento strutturale dell’istituzione carceraria nei rapporti sociali.

Le irrazionalità e le incongruenze che essi descrivono si possono spiegare solo se si mette a nudo il rapporto tra il carcere e le sue funzioni strutturali aggregate di controllo, sul piano istituzionale, politico, economico: "è la radicalità di tali aspetti a consentire l’affermarsi delle contraddittorie irrazionalità rilevate, insieme allo spazio che agli stessi lascia l’assenteismo dell’opinione pubblica, la sua assuefazione al tradizionalismo di certi luoghi comuni, il suo coinvolgimento in dinamiche estranee e non comunicanti con il pianeta delle questioni e dei paradossi carcerari"73. Questi paradossi si riflettono su spazi sociali assai estesi quando se analizza il rapporto ancora più fondamentale tra la norma e la sua legittimazione74: "tutto ciò determina una situazione di sostanziale scucitura tra contenuti normativi e opinione pubblica, favorendo una diffusa disattenzione dei cittadini verso le norme e una profonda disaffezione verso i contenuti delle stesse e la loro possibile operatività, il che rende impensabile che gli stessi siano oggetto di conoscenza e di interiorizzazione"75. Quindi si tratta di un’opinione pubblica disorientata e distratta76 bisognosa di sicurezza77.

Risultati simili sono stati rilevati nella ricerca condotta a Padova78, in tre unità urbane con differenti qualità sociali: la Zona Stanga, semiperisferica, priva di diversi servizi essenziali; la Zona Fiera, vicina alla stazione centrale, abitata da famiglie ad alto e basso reddito; la Zona S.

Osvaldo, urbana, abitata da famiglie ad alto reddito: "Il luogo comune mediatico e politico-istituzionale, per cui ai sempre più intensi e diffusi sentimenti di insicurezza si associano sempre più decise richieste repressive e disciplinari appare, a questo punto, in tutta la sua artificialità e strumentalità. Continuare a rafforzarlo e, peggio, a praticarne e incentivarne le implicazioni sul piano operativo non può non coincidere con una chiusura aprioristica e capziosa alla dinamicità, alla ricchezza e alle potenzialità che la realtà sociale, grazie alla sua complessità, presenta".

Dunque siamo dinanzi ad un fenomeno che bisogna scongiurare: cioè quello della paura della criminalità. Perciò è necessario riconoscere il ruolo dei politici e delle loro propagande, nonché la canalizzazione79 della domanda di sicurezza da parte dei cittadini, la quale finisce ogni volta coinvolta in un circuito autoreferenziale: "In Italia, per lungo tempo e diversamente da quanto è dato registrare in altre realtà nazionali, i sentimenti collettivi d’insicurezza hanno avuto modo di esprimersi come domanda politica di cambiamento e di più intensa partecipazione democratica. Vale a dire che la comunicazione sociale attraverso il vocabolario della politica ha favorito una costruzione sociale del disagio e del conflitto al di fuori delle categorie morali della colpa e della pena. La ragionevolezza di quest’ipotesi interpretativa è in parte avvalorata dalla situazione che si è determinata in questi ultimi dieci anni. A fronte della crisi di quel modello politico-culturale, assistiamo al diffondersi incontenibile di un atteggiamento d’indignazione morale portato a delegare alla sola «spada della giustizia» la soluzione di ogni problema. Più penalità come più moralità è il tragico equivoco di ogni crociata morale contro la criminalità. la «questione morale» è pertanto sfuggita alla sfera della politica -socialmente delegittimata quest’ultima come immorale— per sublimarsi nell’esercizio simbolico di imputare responsabilità elevando la penalità".

9. ÖFFENTLICHKEIT80

Nell’opera Storia e critica dell’opinione pubblica del filosofo tedesco Jürgen Habermas si studiano i mutamenti prodottisi nella "sfera pubblica borghese" e se spiega la nascita dello stato democratico parlamentare, a partire dal diffondersi progressivo di circoli, associazioni, club di discussione inizialmente dediti alla critica estetica, ma poi progrediti ben presto in una critica più ampia, soprattutto delle istituzioni vigenti81. Nelle società complesse la sfera pubblica forma una struttura d’intermediazione tra il sistema politico, da un lato, le sfere private del mondo di vita e i sistemi funzionalmente specializzati82, dall’altro. In termini spaziali la complessità della sua rete si ramifica nella pluralità d’intersecanti arene internazionali, nazionali, regionali, comunali e subculturali. In termini di contenuto si articola in sfere pubbliche più o meno specializzate (però sempre accessibili a pubblici profani) a partire da prospettive funzionali, tematiche specifiche, sfere politiche ecc. (sfere pubbliche, per esempio, di divulgazione scientifica, oppure letterarie, confessionali e artistiche, femministiche e «alternative», oppure interessate alla politica sanitaria, sociale o scientifica). In termini di densità comunicativa, complessità organizzativa e raggio d’azione, essa si differenzia infine secondo più livelli: dalla sfera pubblica effimera che ritroviamo in caffè, ristoranti e strade, passando attraverso la sfera pubblica messa fisicamente in scena da rappresentazioni teatrali, serate famigliari, concerti rock, riunioni di partito o manifestazioni religiose, per giungere infine alla sfera pubblica astratta dei lettori, ascoltatori e spettatori singolarizzati e dispersi nel mondo, che solo i mass media possono ancora raccogliere insieme83.

10. IMMIGRAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE: SOCIETà CIVIlE

La politica deve essere analizzata con gli strumenti della teoria dell’azione e con quelli della teoria sistemica. Quindi il concetto di sovranità popolare si fonda sulla formazione dell’opinione e della volontà basata sull’agire comunicativo e sul sistema politico controllato dal medium «potere». Ora, per risolvere il problema di come i cittadini possano influenzare il sistema politico senza tuttavia comprometterne la specifica dinamica interna, Habermas ha sviluppato due diversi modelli: il modello dell’assedio (sviluppato in Teoria dell’agire comunicativo) e il modello delle chiuse idrauliche (sviluppato in Fatti e norme). Habermas ha preferito il modello delle chiuse idrauliche84. E questo perché ha in mente una società civile abituata alla libertà. Perciò è necessario analizzare il concetto di società civile da la sua prima e più importante rielaborazione85 (dopo l’introduzione hegeliana), cioè quella teorizzata da Antonio Gramsci86.

Per Gramsci il concetto di «formazione sociale» è fondamentale quando afferma che "la relazione fra «struttura» e «superstruttura» - o il «passaggio» di ogni movimento storicamente organico attraverso l’intera formazione sociale, dalla «base» economica alla sfera delle relazioni etico-politiche — rappresentava il nucleo centrale di ogni forma di analisi che non fosse riduzionistica o economistica. Per porre e risolvere questo problema si doveva condurre un’analisi realmente fondata sulla comprensione delle complesse relazioni di sovradeterminazione tra le diverse pratiche sociali presenti in ogni formazione sociale"87.

11. I MOVIMENTI SOCIALI IN ITALIA

I movimenti urbani sono quei gruppi mobilitati che fanno domande relative a questioni urbane, sfidando le politiche e prassi esistenti, fanno uso di metodi non istituzionali, e non prendono la forma di un partito politico. Elementi utili per definire i movimenti sono quindi il loro mobilitarsi sul tema delle politiche pubbliche a livello locale, utilizzando forme d’azione non istituzionali (protesta), e dotandosi di una struttura organizzativa flessibile e concentrata al livello locale88.

Le Fasi di mobilitazione dei movimenti sociali in Italia sono stati le seguenti:

  • Anni 60 (1ª Fase): Movimenti della sinistra libertaria. Alla fine degli anni sessanta e nel corso del decennio successivo, i movimenti urbani "si intrecciarono ad un ciclo di protesta che, partendo dalla protesta nelle università, coinvolgerà le grandi fabbriche e poi, man mano, i più diversi gruppi sociali. I movimenti urbani saranno infatti influenzati da schemi ideologici, forme d’azione e modelli organizzativi sviluppatisi nel corso di quelle proteste. Alla metà degli anni sessanta, il primo movimento a comparire fu il movimento studentesco"89.
  • Anni 70 (2ª Fase): Radicalizzazione. Scemata la mobilitazione nelle università, il movimento studentesco è stato seguito da altri movimenti che - pur derivandone direttamente - "ne criticavano tuttavia alcune degenerazioni, rappresentando quindi, rispetto ad esso, contemporaneamente una continuazione e un superamento. Il movimento delle donne ebbe un ruolo importante in questa evoluzione. Sin dalla fine degli anni sessanta si erano formati, sul tema della condizione femminile, alcuni gruppi informali misti, concentrati prevalentemente sulla discussione e la elaborazione culturale. A partire dall’inizio degli anni settanta, emersero i gruppi dell’autocoscienza che affrontarono temi quali la sessualità, l’aborto, il corpo. Nel frattempo, dopo un intenso dibattito, nuclei femministi si formarono all’interno dell’organizzazione della Nuova Sinistra, rendendosi quindi autonomi. Dopo una fase di mobilitazione aperta, i gruppi femministi si divisero tra l’elaborazione culturale e l’impegno concreto, soprattutto nella sinistra e nei sindacati. Negli anni settanta, sulla scia delle grande ondate di protesta nelle scuole e nelle università anche la questione urbana si è politicizzata: i movimenti urbani attraversavano infatti una fase di particolare visibilità. Le rivendicazioni si ampliarono dalla fabbrica alla scuola e al territorio, cioè dai luoghi della produzione a quelli della riproduzione"90.
  • Anni 80 (3ª Fase): Movimento per la pace ed ecologista. Mentre la situazione politica si depolarizzava, i movimenti sociali attivi nelle città italiane "sono ritornati ad un’azione prevalentemente concentrata nella società. Attorno a tematiche nuove - quali la difesa dell’ambiente, la sicurezza urbana, o il neo-localismo - le forme d’azione sono diventate più moderate, i gruppi si sono organizzati a livello di piccole aree territoriali, il discorso ha de-enfatizzato la politica e si è fatto più pragmatico"91. Negli anni novanta la situazione appare in profonda trasformazione quando sono emerse nuove esperienze di partecipazione dal basso: "laddove le rivendicazioni venivano presentate ed incanalate attraverso i partiti, attraverso le loro sezioni o gli altri terminali di aggregazione del consenso, penetrando così nelle istituzioni di governo, adesso sempre più si cerca di influenzare gli amministratori rivolgendosi direttamente alla sfera pubblica, attraverso azioni di protesta che possano attrarre l’attenzione dei media, oppure entrando a far parte dei policy networks rilevanti in alcune aree"92. Negli anni novanta93 appaiono anche i comitati di cittadini: "sono gruppi organizzati, ma debolmente strutturati, formati da cittadini che si riuniscono su base territoriale e utilizzano prevalentemente forme di protesta per opporsi ad interventi che ritengono danneggerebbero la qualità della vita sul loro territorio o chiedere miglioramenti di essa. Un comitato è caratterizzato da identità localistiche; struttura organizzativa partecipativa, flessibile e con bassi livelli di coordinamento; strategie d’azione che privilegiano la protesta, seppure in forme moderate"94.

12. I NUOVI MOVIMENTI SOCIALI

La formazione di nuovi movimenti sociali, spiegava due decenni fa Touraine, comporta la trasformazione dell’analisi sociologica: "è vero che una gran parte della sociologia rimane dominata dall’idea, ereditata dal XIX secolo, che la società sia un sistema, meccanico od organico, dotato di leggi proprie, di modo che l’analisi sociologica consisterebbe nel far scomparire qualunque illusione circa il ruolo dell’attore. Questo approccio esclude a priori, ovviamente, l’esistenza dei movimenti sociali. È però sempre più necessario sostenere un’altra sociologia, che assegna invece un ruolo centrale all’idea di movimento sociale e che crea una nuova pratica professionale, sforzandosi di cogliere l’attore nella coscienza che questi possiede del proprio agire. Una sociologia per la quale gli uomini fanno la propria storia sapendo di farla, pur essendo nello stesso tempo prigionieri delle ideologie. È urgente che sviluppino nuovi percorsi di ricerca, capaci finalmente di osservare l’azione sociale in quanto tale e di studiare gli attori non solo nel loro agire, ma anche a livello dell’analisi che di quegli atti sono capaci di fare, tentando di far emergere, al di là delle condotte di pura reazione all’ordine sociale, le condotte di critica, quelle per cui si produce conflittualmente la società. La formazione di nuovi movimenti sociali e la trasformazione dell’analisi sociologica non sono separabili l’una dall’altra"95. Questi nuovi movimenti sociali attuano nel marchio di nuove spazi sociali o arene: "un’arena è uno spazio di messa in visibilità e di trattamento di una situazione intesa come problema sociale. Le arene poggiano su processi di conversione delle risorse…I movimenti sociali possono utilizzare le arene sociali istituzionalizzate: media, tribunali, elezioni, parlamento, consiglio municipale. Ma limitarsi a questa osservazione significherebbe trascurare un tratto essenziale dei movimenti sociali. Attraverso le azioni di protesta, essi producono anche un’arena specifica: l’arena dei conflitti sociali attraverso gli scioperi, le manifestazioni, i boicottaggi, le campagne d’opinione. Uno dei tratti peculiari di questa arena è di funzionare come spazio d’appello, nel doppio senso del termine. L’appello va inteso letteralmente come grido, espressione di una domanda di risposta a un problema. Va però anche inteso nel senso giuridico di ricorso a una giurisdizione più elevata per ottenere la modifica di un primo verdetto ritenuto ingiusto. Facendo appello — nel senso di domanda — alla mobilitazione, all’opinione pubblica, il movimento sociale fa appello anche — nel senso giudiziario — su ciò che esso percepisce come rifiuto di capirlo o di dargli soddisfazione in seno alle arene istituzionali classiche"96.

Nonostante le nuove opportunità e i nuovi spazi sociali che faciliterebbero sviluppi nelle mobilitazioni, i nuovi movimenti non hanno più un ruolo importante: "mentre il movimento operaio e, in particolare, l’esperienza del sindacalismo si erano accompagnati abbastanza rapidamente alla formazione di gruppi, movimenti e partiti socialisti, bisogna ammettere che sino ad oggi i nuovi movimenti sociali hanno prodotto solo partiti ecologici deboli, con l’eccezione tedesca, e qualche candidatura femminista, che ha in genere raccolto assai meno voti di quanto non lasciasse prevedere l’influenza esercitata dal femminismo sull’opinione pubblica"97. Ma questo non significa la loro scomparsa o la loro inesistenza98. Piuttosto significa la loro necessità di rinnovamento attraverso l’ingresso di un nuovo attore sociale: le minoranze immigrate99.

13. IMMIGRAZIONE E RESISTENZA

Adesso faremmo riferimento alle resistenze degli immigrati, particolarmente quelli che lavorano in condizioni precarie e hanno scarse possibilità di difendersi legalmente, dovuto alla contingenza propria del lavoro stagionale100e quelli che vengono sostituiti da lavoratori dell’Est-Europa dovuto alla sua propensione al sindacalismo. Nella zona della Piana di Gioia Tauro, il ricorso al malaffare, in particolare nel settore agricolo, è una prassi consolidata e tollerata. Tutto il sistema è strutturato sull’illegalità e sull’abuso: "si produce frutta raramente commercializzata, destinata alla macerazione o alla trasformazione allo scopo di ricevere dei finanziamenti che molto spesso sono guadagnati con la truffa e il raggiro. Chi, secondo le statistiche pubbliche, risulta aver lavorato, spesso ha acquistato le giornate per accedere al sussidio di disoccupazione. Chi lavora veramente (gli immigrati) non potrebbe farlo perché non ha un’autorizzazione amministrativa al soggiorno. Questo sistema si alimenta del supersfruttamento di chi lavora veramente e si regge sull’ambiguità di politiche migratorie nazionali che producono clandestinità e lavoratori privi dei diritti e delle tutele giuridiche minime"101. La necessità di gerarchizzare il mondo del lavoro in agricoltura è essenziale per il mantenimento di questo sistema economico. La creazione di barriere giuridiche alla mobilità dei lavoratori, la maggiore tolleranza della "clandestinità" che da parte delle istituzioni nei contesti rurali, e la segregazione sono elementi di questa struttura sociale razzialmente definita102. Quindi le resistenze di questi lavoratori stagionali si devono confrontare con un sistema di sovra-sfruttamento che alla fine rende più debole e marginale la situazione del lavoratore stagionale: "Il meccanismo che governa gli ingressi e gli indirizzi selettivi nel contrasto alle migrazioni "clandestine", favorisce concretamente l’immigrazione intra-europea. L’attuale composizione della forza lavoro immigrata nella Piana n’è il risultato evidente: in un luogo in cui la "irregolarità" del soggiorno è tollerata dalle forze di pubblica sicurezza, è la minore o maggiore capacità con cui si attraversano le frontiere, o, rovesciando la medaglia, la fluttuante permissività con cui le istituzioni consentono questo attraversamento, a divenire il fattore determinante nel definire la composizione dell’immigrazione"103.

La resistenza dei lavoratori maghrebini nei confronti di certe forme di sfruttamento (ricorrendo anche a vertenze sindacali e le cause di lavoro), sembra aver originato il fenomeno della loro sostituzione con gli immigrati dell’Est Europa. La richiesta di riconoscimento dei diritti negati è stata di per sé sufficiente nel determinare l’espulsione di questi lavoratori dal mercato: "la maggiore rivendicatività dei lavoratori marocchini, sebbene dal discorso comune etnicizzante sia stata ascritta ad attitudini culturali, è dovuta ad una molteplicità di fattori, di tipo materiale; non solo hanno una maggiore anzianità migratoria e pertanto una più alta conoscenza dei propri diritti e delle reti di supporto (sindacati), ma soprattutto si ritrovano, quasi tutti, in una condizione giuridico-amministrativa più stabile rispetto a quella istituzionalmente precaria dei lavoratori stagionali"104.

Ciononostante le resistenze da parte degli immigrati si sono fatte sentire. Ed è molto importante la loro resistenza soprattutto quando determinano forti cambiamenti strutturali del sistema: la loro resistenza non è il portato "naturale" di una "cultura" o di una nazionalità, ma la risposta ad una condizione di subalternità che, pur assumendo strategie sempre nuove in rapporto alle modificazioni delle forme di sfruttamento, come tale si ripropone periodicamente, quando i nuovi lavoratori prendono coscienza delle proprie potenzialità105. Il dubbio che resta è: le strategie di protesta contro le manovre dei padroni saranno state finora le più adeguate?

14. DISOBBEDIENZA CIVILE: IMMIGRAZIONE DIRITTI E CITTADINANZA

La Costituzione della Repubblica Italiana indica nell’art. 2 che: "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". L’articolo 3, por su parte, indica che: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese". La domanda che nella dottrina costituzionale molti si fanno è: nell’art. 2, i diritti inviolabili dell’uomo sono i diritti dei cittadini italiani o anche quelli degli immigrati in Italia; nell’art. 3, la dignità e l’uguaglianza non vengono rispettati come principi fondamentali con riferimento agli immigrati? Per spiegarlo meglio, basta fare ricorso ad il concetto di diritti fondamentali: sono "diritti fondamentali" tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a "tutti" gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone capaci d’agire; inteso per "diritto soggettivo" qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni) ascritta ad un soggetto da una norma giuridica, e per "status" la condizione di un soggetto prevista anch’essa da una norma giuridica positiva quale presupposto della sua idoneità ad essere titolare di situazioni giuridiche e/o autore degli atti che ne sono esercizio106.

Dall’altra parte, l’articolo 10 indica che: "L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici"107. Quindi esiste un generale obbligo di protezione dello straniero da parte dello stato territoriale. Esso deve assicurare il mantenimento dell’ordine giuridico disponendo misure atte a prevenire e a reprimere le offese contro la persona o i beni dello straniero. Così, ad esempio, potrà aversi reato di diniego di giustizia nel caso in cui non venga concessa allo straniero la facoltà di ricorrere ai tribunali locali in condizioni di assoluta parità con i cittadini e per ogni controversia. Per quanto concerne la legge penale, non esiste alcuna sostanziale differenza fra il trattamento del cittadino e quello dello straniero; l’art. 3 del Codice penale, infatti prevede che la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salvo le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale ( fanno eccezione alcuni principi in materia di reati commessi all’estero, nonché i casi di immunità degli agenti diplomatici).

Infine sull’ancoraggio dei diritti fondamentali alla cittadinanza si può riconoscere che in effetti tutti questi diritti, inclusi quelli che nelle costituzioni statali e nelle carte internazionali sono ascritti a tutte le persone indipendentemente dalla loro cittadinanza, sono di fatto subordinati, dalle politiche di esclusione messe in atto dalle nostre ricche democrazie con le loro leggi sull’immigrazione, al possesso dello status di cittadini. Ma questo riconoscimento è una tesi empirica, di carattere dogmatico o sociologico, che non smentisce affatto le definizioni teoriche della cittadinanza e della personalità quali presupposti, nei nostri ordinamenti, di altrettante classi di diritti; anche se potrà valere (a) sul piano dogmatico a registrare un’antinomia tra le norme costituzionali e internazionali che configurano tali diritti come diritti della persona e le leggi che li subordinano di fatto alla cittadinanza, e (b) sul piano assiologico a giustificarne la critica come frutto di un’indebita violazione108.

15. IMMIGRAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE

Fino a questo punto della nostra ricerca, abbiamo cercato di introdurre una serie di concetti e d’illustrare le circostanze oggettive di marginalità degli immigrati in Italia, con l’obbiettivo di proporre una via d’uscita, un’alternativa democratica. Però se questa marginalizzazione è il risultato di una politica economica razzista e postcoloniale che se rivolge soprattutto in questo momento storico postfordista verso le minoranze immigrate, la lotta per il riconoscimento dei diritti degli immigrati non può più dipendere solo delle reazioni spontanee e interessate dei partiti di sinistra italiani. Questa ricerca propone che una via d’uscita potrebbe essere quella di coinvolgere direttamente agli immigrati nella lotta per i loro diritti. Cioè debbono essere proprio loro i primi a manifestare il disaggio e a proporre delle soluzioni. È assolutamente chiaro però, che nella loro situazione di marginalizzazione avranno bisogno dell’appoggio delle sfere più progressiste della società civile, e il coinvolgimento di questa dovrà accompagnare e sostenere le decisioni prese dagli immigrati. Già nel passato atti simili sono successi: Il 19 di luglio del 2001, il corteo dei migranti a Genova vede manifestare 50.000 persone. Lo slogan è «Siamo tutti clandestini»; lo striscione di apertura recita «Libertà di movimento, libertà senza confini»109. La nostra proposta è quella di pensare alla possibilità di una protesta che possa chiamare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale: attraverso gli atti di disobbedienza civile gli immigrati potrebbero difendersi delle politiche razziste e discriminatorie nel loro confronto. Ma che s’intende per disobbedienza civile?110

- Concetto

Per atto di disobbedienza civile s’intende quella trasgressione simbolica, pubblica e non violenta di regole, con lo scopo di manifestare l’inconformità ad una o varie decisioni vincolanti in quanto considerate illegittime, ingiuste o incostituzionali111. Gli atti della disobbedienza civile rappresentano l’ultimo mezzo per procurare ascolto e influenza pubblicistico-politica agli argomenti d’opposizione. Questi atti risultano sempre gravati da un ossessivo bisogno di esplicitazione. Infrangendo le regole in maniera simbolica e non violenta, "essi chiedono d’essere intesi come espressione di protesta contro decisioni vincolanti le quali, nonostante la loro genesi legale, nella visione degli attori risulterebbero illegittime alla luce di vigenti principi costituzionali. Gli atti di disobbedienza civile si rivolgono simultaneamente a due diversi destinatari. Da un lato s’indirizzano agli amministratori e ai deputati, chiedendo loro di aprire consultazioni politiche già formalmente concluse e di rivederne eventualmente le decisioni in considerazione d’una critica pubblica non ancora sopita. Dall’altro lato essi si rivolgono al «senso di giustizia della maggioranza della comunità», dunque al giudizio critico di un pubblico di cittadini che deve essere mobilitato con strumenti straordinari"112.

- Particolarità della disobbedienza civile113

Da questa definizione si ricavano i seguenti requisiti:

  1. Trasgressione di regole: gli atti di disobbedienza civile sono atti illegali. Questo significa che per essere considerati tali devono contrariare norme vigenti, decisioni o politiche di governo obbligatorie; cioè devono essere contrari al diritto positivo. Le leggi cui ci riferiamo non hanno unicamente un’origine statale, ovvero possono venire emesse anche da istituzioni sussidiarie dello stato, come per esempio le università114. Gli atti di disobbedienza civile possono essere attivi o passivi. Saranno attivi quando violano una proibizione legale; ossia quando la legge proibisce di fare qualcosa e si fa precisamente ciò che è proibito. Saranno passivi quando la legge ordina di fare qualcosa e si omette ciò che è imposto.
  2. La trasgressione deve essere pubblica: gli atti dei disobbedienti civili hanno come scopo il più ampio raggiungimento delle sfere dell’opinione pubblica. Con l’intenzione di discutere una decisione assunta dalla maggioranza di governo (o da un’istituzione statale), è necessario che l’opinione pubblica abbia una conoscenza degli argomenti sostenuti dai dissidenti. Ciò nonostante non è necessario che l’azione illegale sia conosciuta al momento in cui è commessa115.
  3. La trasgressione deve essere non violenta: questo requisito è il più polemico dovuto alla pluralità di concetti di violenza spiegati dai teorici116. Nei casi in cui si esercita violenza per farne una valutazione si devono considerare i soggetti, il contesto generale e l’intenzione. I concetti di forza e violenza possono essere estesi in modo tale che qualunque atto di coercizione sarebbe violenza o possono essere limitati al punto tale da considerare come violenza unicamente la forza fisica. In ogni caso il limite della violenza deve essere la non lesione dell’integrità fisica e psichica dei manifestati e degli osservatori.
  4. La trasgressione deve essere simbolica, volontaria e cosciente. Simbolica perché gli atti stanno dentro del più ampio rispetto alla Costituzione e i principi costituzionali. Volontari poiché il disobbediente ha voluto la sua azione. Cosciente perché mette in discussione la costituzionalità della legge in virtù delle sue convinzioni politico-morali. Il disobbediente civile deve essere convinto che la sua azione sia giusta e corretta. È trascendentale che il disobbediente sia cosciente dell’illegalità dell’atto che realizza e della possibilità di essere processato in virtù di ciò.
  5. Lo scopo della trasgressione: gli atti di disobbedienza civile hanno come scopo invalidare una legge, un programma o una politica di governo. L’aspetto distintivo degli atti di disobbedienza civile rispetto alle altre forme di disobbedienza al diritto è la sua intenzione di difendere davanti all’opinione pubblica la Costituzione e i suoi principi fondamentali. Perciò il disobbediente cerca di argomentare pubblicamente sull’illegittimità, ingiustizia o incostituzionalità della decisione vincolante oggetto della protesta. Questo è importante per chiarire che la disobbedienza civile non è solo test di costituzionalità delle leggi, ma anche una forma di difendere i principi di giustizia fondatori dello Stato117.

Questo concetto di disobbedienza civile (concetto tra l’altro progressista e diverso a quello originale di Thoureau, Gandhi e Luther King) è stato ribadito in diverse realtà nazionali. Basta osservare come in Germania il filosofo Jürgen Habermas (nel giustificare le azioni di disobbedienza civile negli anni ’80 contro l’installazione dei missili Cruise) ha sostenuto in Teoria dell’agire comunicativo che la legittimità politica è minacciata quando sono prese decisioni di enorme importanza sostenute solo da maggioranze semplici ed esigue e affidate al parere di esperti e tecnici per la loro attuazione, al di fuori del controllo popolare. Habermas ha ancora suggerito che "le azioni di disobbedienza richiamano il principio, che solo autorizza nella modernità il «parlamentarismo» come mera tecnica decisionale, per cui la vera sovranità non risiede nei governi e nei parlamenti, ma nella sfera pubblica, cioè in quei processi discorsivi dispersi nella società civile — anonimi e non formalizzabili (anarchici) — che chi governa dovrebbe avere sempre alle sue spalle e tenere in costante considerazione. Su questioni di principio come la guerra, la tutela delle minoranze e degli immigrati, le libertà fondamentali, la sfera pubblica rivendica, nei momenti di crisi, la propria sovranità ristabilendo la priorità degli argomenti costruiti nel dialogo collettivo sugli quelli fondati su obiettivi strategici e logiche di interessi, che colonizzano i Parlamenti"118.

In Italia, la teorizzazione più importante sul diritto (anzi il dovere) dei cittadini a disobbedire le leggi è stata elaborata da Luigi Ferrajoli119: "Possiamo, se riteniamo che è giusto o opportuno che un determinato ordinamento debba essere conservato, avvertire personalmente l’obbligo morale, magari incondizionato, di obbedire le leggi perché tali ed anche auspicare che tale obbligo sia avvertito dal maggior numero possibile di persone. Ma non possiamo esigere moralmente che questo medesimo obbligo sia avvertito anche dagli altri, ossia che l’adesione morale da noi prestata e auspicata sia moralmente obbligatoria…Al contrario, quella che è una norma morale è, nella concezione eteropoietica dello stato di diritto, il principio normativo della disobbedienza nei riguardi di leggi che contraddicono e compromettono i fondamenti di legittimazione interna ed esterna dell’ordinamento. Se a proposito dello stato di diritto vogliamo parlare di un accordo prepolitico, ovvero di un fondamento morale e politico giustificante, esso non risiede nel dovere morale dell’obbedienza, ma nel diritto e nei casi estremi nel dovere morale della disobbedienza allorquando le leggi entrano in conflitto radicale con i valori «universali» e «fondamentali» sanciti nelle Costituzioni"120.

16. VALUTAZIONI CRITICHE

Ho assistito alla presentazione del libro Ai margini della città. Forme del controllo e risorse sociali nel nuovo ghetto su "Via Anelli" e in quella prima occasione mi sono interessato a questa ricerca teorica. In quel momento, infatti, ebbi l’opportunità concreta di sentire e di vedere nel pubblico gruppi di persone immigrate che abitavano in quel quartiere. La mia curiosità fu ulteriormente suscitata dal libro (oggetto della suddetta presentazione) regalatomi dalla Dott.ssa Vianello, mia tutor nel Master. L’idea iniziale era quella di svolgere lo Stage presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova: mi offrii volontario per aiutare loro (gli autori del libro) nelle tappe successive di questa ricerca, che il comune di Padova avrebbe dovuto finanziare. Purtroppo i fondi non sono mai stati stanziati.

A quel punto, ormai appassionato sul tema, ho deciso di non demordere e proseguire comunque la mia ricerca. Lo spunto arrivò ben presto. Appena rientrato in Italia da un’estate trascorsa in Colombia, sono stato travolto da una serie di notizie che superavano di gran lunga le aspettative dei miei pensieri. Si era venuta a creare una situazione di forte tensione tra gruppi di cittadini da un lato e forze dell’ordine dall’altro: causa il "muro" eretto in Via Anelli con la speranza di migliorare la situazione di "degrado" venutasi a creare in quel quartiere. Gli immigrati abitanti e rappresentanti del complesso la "Serenissima" dichiaravano pubblicamene di essere estranei a tutte quelle tensioni ed hanno scelto un metodo sicuramente molto efficace per dimostrarlo: organizzare una manifestazione, non violenta e soprattutto unica nel suo genere, tenutasi lo scorso 30 Settembre presso la fiera di Padova.

Ero presente a quella manifestazione, e con me la Dott.ssa Francesca Vianello, la Dott.ssa Claudia Mantovan e il Dott. Alvise Sbraccia. Insieme abbiamo avuto (almeno lo auspico) il piacere di aver condiviso un’esperienza positiva, che ci ha permesso di capire come questa popolazione immigrata abbia un senso della democrazia molto chiaro. Ecco perché ho voluto ampliare la mia ricerca, focalizzandomi non più solo su Via anelli, ma sulla possibilità della formazione di un movimento sociale immigrato, consapevole di avere non solo dei doveri, ma anche dei diritti, per i quali valga la pena lottare.

Nei mesi d’Ottobre, Novembre e Dicembre, nel corso dello stage, mi recai spesso nelle zone limitrofe del complesso la "Serenissima", per analizzare più a fondo quella realtà. Ho avuto modo di intervistare molte persone, la maggior parte delle quali aveva partecipato alla manifestazione del 30 Settembre, ma è stato tutto più difficile a causa della presenza continua delle forze dell’ordine, dei giornalisti e di diversi personaggi politici. Tuttavia, il clima molto teso di quei giorni non mi ha proibito di assistere alla fine di quel ghetto chiamato "Via Anelli".

Adesso cerchiamo di concentrarci sulla possibilità della formazione di un movimento sociale d’immigrati extracomunitari e poi sulla convenienza, una volta formato questo movimento, dell’uso della disobbedienza civile. Alla base di una partecipazione attiva credo ci sia, quale requisito più importante, il disagio sociale di questi gruppi di persone. Tutto ciò si traduce in una presa di coscienza dei loro diritti, dovuta al fatto che prendono atto di non volere subire in silenzio delle politiche di marginalità, sopratutto considerando il fatto che molti di loro rappresentano una parte assai importante della forza lavoro di questo Paese. Una volta formato questo movimento sicuramente si dovrà ricorrere a proteste ed è qui dove la nostra ricerca ha il suo punto di snodo e sviluppa il concetto di democrazia partecipativa. Sono dell’idea che la disobbedienza civile come atto non violento e come atto che ha bisogno di una consapevolezza dei diritti, sia molto più auspicabile che le proteste violente, come ad esempio quelle avvenute nelle rivolte parigine del 2005.

Dunque servono efficaci politiche d’inclusione, sull’acceso alla casa, ai servizi socio-sanitari, alla parità di trattamento in ambito lavorativo, sul riconoscimento di diritti di cittadinanza quali il voto. Per quanto riguarda la situazione italiana, ad esempio, l’articolo 45 della Costituzione afferma il principio dell’universalità del diritto di voto che non può essere negato a nessun cittadino. Quindi il voto come diritto universale e non come privilegio di coloro che hanno la cittadinanza. Sulla questione dello sfruttamento e della condizione giuridica degli stranieri, è necessario un intervento diverso, in linea con il programma dell’Unione, che introduca un permesso per ricerca di lavoro, così come una forma semplice di regolarizzazione stabile. Questo potrebbe evitare ulteriori accumuli di irregolari nei prossimi mesi, a partire dai tanti già oggi inseriti nel mondo del lavoro e rimasti fuori dal decreto flussi. Se altrimenti si pensa alle liste all’estero per gli sponsor se continuerà a produrre lavoro nero, irregolarità e ingiustizie. Dobbiamo cercare di non arrivare ad una società di politiche totalitarie121 anche se chiamata democratica.

Per ultimo, penso sia appropriato poter usufruire dello spazio pubblico, non solo per le manifestazioni, ma anche per dibattiti pubblici, che permettano di coinvolgere tutti i diversi settori della cittadinanza, soprattutto quella parte fondamentale nel futuro dell’Italia, rappresentata dagli immigrati.


Notas

121 HORKHEIMER M. (1969, pp. 32-3). Vedasi anche ARENDT H. (1951, p. 663): "Totalitäre Bewegungen sind Massenbewegungen, und sie sind bis heute die einzige Organisationsform, welche die modernen Massen gefunden haben und die ihnen adäquat scheint".

* Resumen de la tesina elaborada para optar al título de Master in Criminologia critica, Prevenzione della devianza e sicurezza sociale en el departamento de Sociología de la Università degli Studi di Padova, Italia. La investigación fue sustentada en el mes de Diciembre de 2006.

1 La Investigación consistió en un trabajo teórico cuyos argumentos surgen a partir de la participación en la vida cotidiana de Via Anelli. Durante tres meses frecuenté el complejo residencial objeto de estudio y, a partir de métodos sugeridos por la tradición interaccionista, confronté el análisis teorético con las imágenes de la realidad.

2 Secondo il Dossier Caritas/Migrantes 2005. Vedasi ASSOCIAZIONE SocietàINFormazione, a cura di, (2006, p. 835).

3 Ibidem (p. 836).

4 Ibidem (p. 179).

5 Ibidem (p. 828).

6 I dati si riferiscono al luglio 2005. Ibidem (p. 836).

7 Secondo le stime più recenti indicate nel Dossier Caritas/Migrantes. Ibidem (p. 795).

8 Ibidem (p. 179).

9 Ibidem (p. 795).

10 Secondo il I Rapporto dell'IRES-CGIL sui lavoratori immigrati nelle costruzioni condotto per la FILLEA. Ibidem (pp.262-3).

11 Ibidem (p. 264).

12 Ibidem (pp. 262-3).

13 Ibidem (pp. 262-3).

14 Ibidem. (p. 248). Vedasi Americanismo e fordismo in GRAMSCI A. (1975).

15 Ibidem (p. 246).

16 Ibidem (p.247).

17 BUSCEMA C., CORRADO A., COMMISSO G., DE BONIS A., SIVINI G., VITALE A. (2005, p. 6).

18 MELOSSI D. (2002, pp. 267-8).

19 BUSCEMA C., CORRADO A., COMMISSO G., DE BONIS A., SIVINI G., VITALE A. (2005, p.12): "nei termini di Foucault, essa diventa oggetto di 'economia politica', nel senso di 'utilità', di gestione economica".

20 Ibidem (p.12).

21 Ibidem (p. 20).

22 Ibidem (p.16).

23 Ibidem (p. 19).

24 Ibidem (p. 20).

25 MOSCONI G. (2000, p. 26): "Il probabile riemergere, in un certo senso, delle funzioni del carcere come strumento di controllo del mercato del lavoro della forza lavoro immigrata, ai fini di garantirne la disponibilità dell'offerta".

26 Ibidem (p. 18).

27 Ibidem (p. 38).

28 Ibidem (p. 20).

29 Ibidem (p. 25).

30 Ibidem (p. 69): "La produzione di soggettività è la posta in gioco delle "relazioni di pote re", quelle in cui si gioca la composizione politica della popolazione nella società civile".

31 Ibidem (p. 66).

31 Ibidem (p. 66).

32 Ibidem (p. 119).

33 BUTTICCI A., FAIELLA F., SACCHETTO D., SBRACCIA A., VIANELLO F. (2006, p. 114).

34 PAVARINI M. (2006, p.30).

35 BUTTICCI A., FAIELLA F., SACCHETTO D., SBRACCIA A., VIANELLO F. (2006, pp. 91-2). Ve dasi anche MELOSSI (2003, p. 13): Nei paesi del Sud d'Europa "le istituzioni penali divengono quasi un tipo di sistema di «welfare sui generis», l'unico aspetto delle istituzioni del paese che in qualche modo «si prende cura» di questi immigrati".

36 Sulla presenza in carcere della popolazione immigrata in Italia vedasi MELOSSI (2003).

37 Sulla ghettizzazione dei migranti a Padova vedasi BUTTICCI A., FAIELLA F., SACCHETTO D., SBRACCIA A., VIANELLO F. (2006).

38Vedasi BUSCEMA C., CORRADO A., COMMISSO G., DE BONIS A., SIVINI G., VITALE A. (2005, pp. 58-9).

39 Ibidem (pp. 134-5): "Il dispositivo di controllo — inclusivo, differenziale, manageriale funziona attraverso la definizione in classe dei migranti in ingresso, la loro ripartizione in categorie o tipi di lavoro, ordinati un quote che, periodizzate, compongono flussi di immigrazione contabilizzati in funzione delle esigenze del mercato del lavoro e del sistema produttivo. la gestione in flussi periodici, il "controllo attuariale" — attraverso— una identificazione e schedatura preventiva — su gruppi produttori di rischio, potenzialmente devianti e pericolosi per l'ordine costituito, il sconfinamento in campi di detenzione o internamento hanno l'effetto, reale e suggestivo, di interiorizzare e spersonalizzare. La stigmatizzazione, mercificazione, criminalizzazione, lo stoccaggio in zone d'attesa vogliono ridurre "gli stranieri giuridicamente e socialmente illegittimi (migranti regolari, irregolari o clandestini, nomadi, profughi)" — in quanto popolazione in eccesso — a non-persone. La "nuda vita", pura esistenza biologica spogliata di ogni qualificazione politica, risulterebbe così facilmente dissimulabile negli interstizi sociali, nella economia sommersa. La rimozione sociale, la riduzione a "corpi da lavoro" ha una funzionalità gerarchizzante ed economica. I migranti - regolari o irregolari — vengono così ridotti a moderni "meteci", attraverso un processo di inclusione differenziale. Processo che — sia ben chiaro — non vuole però operare esclusivamente in rapporto alla riorganizzazione del mercato del lavoro, ma entro una strategia di "gestione dell'eccedenza" finalizzata al controllo sociale".

40Ibidem (p. 134).

41 CAPUTO A. (2004, p. 361): "...la clandestinità, infatti, non è un attributo naturale degli immigrati (o dei profughi, degli sfollati, etc.), ma l'effetto, appunto, di determinate politiche migratorie".

43 L'approccio riflessivo viene spiegato da MELOSSI (2002, pp. 9-10): "L'emergere di un in teresse per il campo "culturale" in criminologia è anche frutto del disaggio teorico che si è andato accumulando tra gli anni settanta e ottanta dello scorso secolo nei confronti della impostazione meccanicistica prevalsa in precedenza e rappresentata soprattutto dalla distinzione di derivazione marxista tra elementi "strutturali" — che determinerebbero l'agire sociale — e orme ideologiche "soprastrutturali" - che sarebbero determinate da quegli elementi. Tale disagio ha indotto a sottolineare il ruolo "autonomo" delle forme culturali e il modo in cui tale autonomia reagisce sulle variabili "strutturali", quali quelle legate all'economia...Questa è la ragione per cui intendiamo sottolineare il tema delle cangianti rappresentazioni del crimine e dei criminali. Con il termine "rappresentazione" ci riferiamo all'immagine del "criminale" che emerge in una varietà di discorsi, che spaziano da quello criminologico a quello pubblico sino alla rappresentazione di tipo estetico: un ritratto che dà vita a un "tipo" distinto, dotato di caratteristiche morali, fisiche e sociali identificabili e tipiche, che almeno in parte variano tuttavia a seconda della sua collocazione temporale e spaziale...Anche se la descrizione della teoria sociale è espressa nella "forma ridotta" di un rapporto diretto fra struttura sociale e penalità, in ultima analisi il nesso tra questi vari aspetti della vita sociale è prodotto discorsivamente, cioè da quell'iterazione sociale che rende organizzazione e pratiche sociali possibili".

44 Ibidem (p. 267).

45 PAVARINI M. (2006, p. 36): "La forma culturalmente più accettabile per escludere alcuni dai benefici dello Stato sociale è la criminalizzazione del loro status. Il paradigma della «meritevolezza di esclusione» occupa così il posto di quello della «meritevolezza di aiuto». Le politiche di «tolleranza zero» esprimono felicemente questo cambiamento, non nel senso che si debba essere sempre meno tolleranti. Gli esclusi sono infatti coloro che viene socialmente avvertito come intollerabile includere. La «tolleranza zero» è l'indice estremo e quindi virtuale dell'indignazione sociale massima".

46 Ibidem (p. 36). Sul tema MELOSSI D., PAVARINI M. (1977), Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario, Il Mulino, Bologna.

47 MOISÉ S. (2003, p. 51): " the guaranteed trials (with a lawyer nominated by the accused who does his best to defend his client and to deserve his salary) and the routine trials (a concise debate with a Public Defender who doesn't really care of the defendant and with a low use of procedural resources)".

48 Sul tema vedasi: MOISÉ S. (2003), MELOSSI D. (2003), FERRAJOLI L. (1989, pp. 775 ss.).

49 MOISÉ S. (2003, p. 112).

50 Ibidem (p. 136).

51 Ibidem (p. 138): "...at the moment of choosing the application of a pre-trial measure the immigrant status becomes a structural disadvantage element per se". Sulle misure cautelari come processo di carcerazione vedasi MELOSSI D. (2002, p. 274): "...in Italia il numero delle condanne a pena detentiva è aumentato sensibilmente nel corso degli anni novanta, invertendo un andamento di lungo periodo, ma queste si sono trasformate in vera e propria carcerazione soprattutto per gli stranieri, stante il sempre maggiore uso della custodia cautelare fuori del carcere e degli affidamenti in prova, alternativi all'esecuzione della pena detentiva, per gli italiani, dando vita così a un vero e proprio processo di biforcazione".

52 Sulla vulnerabilità delle fasce sociali più deboli e il loro rapporto con il diritto penale vedasi BARATTA A. (1982, pp.165-6). Vedasi anche ZAFFARONI E. (2001, p. 10). Sulla vulnerabilità degli stranieri in Italia si veda MELOSSI D. (2003, p. 17).

53 Ibidem (p. 120).

54 COTTINO A., SARZOTTI C., TEBALDI C. (1994, p. 149).

55 Ibidem (p. 147).

56 MOSCONI G., PADOVAN D., PADOVANO S., PADUANELLO M., SBRACCIA A., FAIELLA F. (2004, p. 95).

57 La communication research si occupa degli effetti sociali provocati dai caratteri tecnici e dalle modalità di produzione comunicativa e informativa, nonché dall'intensificazione dei fenomeni comunicativi e dalla circolazione delle informazioni.

58 Ibidem (p. 637).

59 Ibidem (p. 638).

60 In Italia, per garantire la libertà e il diritto di informazione sono state introdotte norme legislative, il cui effetto di controllo si è però rivelato abbastanza limitato. Tra le più importanti compaiono: Legge sulla stampa (n. 47, 8/2/1948), Legge sull'Ordine dei giornalisti (n. 69 del 3/2/1963), Legge sull'emittenza radiotelevisiva (n. 103 del 14/4/1975), Legge sull'editoria (n. 416 del 5/8/1981), Legge di Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico-privato (n. 223 del 1990), tra tante altre come la cosiddetta Legge Gasparri o la mancata Legge sul conflitto d'interessi.

61 BOBBIO N. (1990, p.166).

62 Ibidem (p. 625).

63 QUASSOLI F. (1999).

64 Sulla rappresentazione del criminale nelle diverse società vedasi MELOSSI D. (2002, pp. 6-7). Vedasi anche MELOSSI D. (2000, pp. 153-4). La rappresentazione degli immigrati fa parte anche di discorsi politici in paesi come Germania; sulla violenza contro gli immigrati in Germania, BOCK M. (2000, pp. 426 sgg.). Sul rapporto tra violenza contro gli immigrati e gruppi politici di estrema destra in Germania vedasi BENZ W. (2001).

65 DAL LAGO A. (2004, p. 350).

66 Vedasi MELOSSI D. (2003, p. 24).

67 MELOSSI D. (2003, p. 21).

68 BUTTICCI A., FAIELLA F., SACCHETTO D., SBRACCIA A., VIANELLO F. (2006, pp.40, 203-5).

69 Ibidem ( pp. 243-4 ).

70 DAL LAGO A. (2004, p. 346).

71 BARATTA A. (1982, p. 18). In proposito l'interessante studio realizzato da SMAUSS G. (1975).

72 MOSCONI G. (2006, p. 105).

73 Sul tema MOSCONI G. (1986), La norma, il senso, il controllo, Franco Angeli, Milano.

74 MOSCONI G. (2000, p. 11).

75 Ibidem (2000, p. 22).

76 PAVARINI M. (2006, p. 27)..

77 MOSCONI G., PADOVAN D., SBRACCIA A., Capitale sociale, insicurezza e paura della cri minalità a Padova. Si tratta di una ricerca sulla paura della criminalità dove nelle sue conclusione si spiega ad esempio, che "non appare per contro alcuna relazione specifica tra i livelli di vittimizzazione presenti nei tre quartieri e le paure manifestate, né in termini generali, come paura della criminalità, né con riferimento ai singoli reati subiti e temuti, per i quali esistono correlazioni molto labili e discontinue". Vedasi anche PAVARINI M. (2006, p. 56): "...le indagini vittimologiche e quelle di opinione pubblica sulla criminalità svolte in questi ultimi anni sia a livello nazionale che locale hanno sempre registrato un grado assai contenuto di mutamento nelle «azioni di evitamento» da parte delle comunità cittadine, come dire che per quanto le medesime si mostrino allarmate o preoccupate per il diffondersi della criminalità alla fine però sono assai restie a mutare significativamente i propri stili di vita per ridurre appunto i rischi di vittimizzazione".

78 ZOLO D. (1990, p. 147): "la dipendenza del consumatore di informazioni consegue non tanto da un'esplicita propaganda ideologica, non tanto da ciò che viene detto, quanto da ciò che non viene detto, da ciò che i filtri comunicativi escludono dall'ordine del giorno dell'attenzione pubblica e viene inghiottito dalla spirale del silenzio". Vedasi anche BOBBIO N., MATTEUCCI N., PASQUINO G. (2004, p. 735).

79 PAVARINI M. (2006, p. 30). La questione nodale, secondo l'autore (Ibidem p. 33), è capire per quali determinazioni politico-culturali "il vocabolario della paura della criminalità non sia stato più in grado di tradurre ed esprimere le insicurezze sociali; e, una volta capito, su quella costruzione sociale operare perché altri linguaggi più appropriati siano in grado di comunicare e orientare collettivamente ad azioni capaci di produrre condizioni materiali di maggiore sicurezza sociale". La traduzione letterale del termine tedesco Öffentlichkeit è il pubblicistico, la pubblicità.

80 In realtà questa traduzione corrisponderebbe al termine tedesco Publizität. Perciò nella traduzione dal tedesco all'italiano si è preferito termini diversi, come sfera o dimensione pubblica, a seconda del contesto, soprattutto per sottolineare il carattere pubblico. Lo stesso si è fatto nella traduzione allo spagnolo, dove si usa il termine esfera pública política o espacio de la opinión pública política.

81 HABERMAS J. (1990). Questa ricerca sull'opinione pubblica politica verrà approfondita nei suoi posteriori scritti, sopratutto in HABERMAS J. (1992). Sull'importanza del tema nella teoria del discorso habermasiano vedasi BRONZINI G. (2003, p. 78): "Nonostante una certa ambiguità, in Fatti e norme la democrazia radicale rimane confinata nella sfera dell'opinione pubblica, si sostanzia in un processo continuo e diffuso al diritto statuito". Per un'introduzione ai concetti della teoria del discorso HORSTER D. (1999).

82 Tali sistemi si ricollegano o a generali funzioni riproduttive del mondo di vita (è il caso di religione, scuola e famiglia - cioè riproduzione culturale, integrazione sociale e socializzazione pulsionale - ), oppure ai diversi aspetti di validità delle conoscenze comunicativamente veicolate dal linguaggio quotidiano (è il caso di scienza, morale, arte - cioè verità, giustezza e autenticità -). La sfera pubblica, nell'affrontare problemi politicamente rilevanti, si distingue per una struttura di comunicazione che concerne non le funzioni e neppure i contenuti della comunicazione quotidiana, bensì lo spazio sociale generato dall'agire comunicativo.

83 HABERMAS J. (1992, p. 443).

84 HABERMAS J. (1997, p. 119).

85 Sul tema vedasi BOBBIO N. (1976, pp. 64-5), HALL S. (2006, pp. 162-3).

86 Sul problema dello Stato e della società civile GRAMSCI A. (1975), III, pp. 1614 ss.

87 HALL S. (2006, p. 154). Vedasi sul tema anche MELOSSI D. (2002, pp. 104-5).

88 DELLA PORTA D. (1999, p. 174). Sui movimenti sociali vedasi NEVEU E. (2001, p. 21). Vedasi anche MELUCCI A. (1989, p. 120).

89 Ibidem (p. 175).

90 Ibidem (p. 176). Vedasi anche NEVEU E. (2001, p. 87).

91 Ibidem (p. 180).

92 Ibidem (p. 184).

93 DELLA PORTA D. (2004, pp. 13-4).

94 Ibidem (pp. 7-8).

95 TOURAINE A. (1988, pp. 211-2).

96 NEVEU E. (2001, pp. 28-9).

97 TOURAINE A. (1988, p. 199).

98 Ibidem (p. 202).

99 Ibidem (p. 226).

100 BUSCEMA C., CORRADO A., COMMISSO G., DE BONIS A., SIVINI G., VITALE A. (2005, pp. 143 ss.).

101 Ibidem (pp. 161-2).

102 Ibidem (pp. 159-0).

103 Ibidem (p. 165).

104 Ibidem (pp. 173-4).

105 Ibidem (pp. 177-8).

106 FERRAJOLI L. (2001, p. 5).

107Sul asilo politico Ferrajoli (Ibidem, p. 25) spiega che: "È chiaro che nei tempi lunghi — nei quali le interdipendenze, i processi d'integrazione e le pressioni migratorie sono destinati ad accrescersi — questa autonomia tra uguaglianza e cittadinanza, tra l'universalismo dei diritti e i loro confini statalistici non potrà risolversi, per il suo carattere sempre più insostenibile ed esplosivo, che con il superamento della cittadinanza, la definitiva de-nazionalizzazione dei diritti fondamentali e la correlativa de-statalizzazione della nazionalità. Ma è anche chiaro che se si vuol prevenire gradualmente e pacificamente a questi risultati e insieme dare risposta immediate a quello che è già oggi il più grave problema dell'umanità e la più grande sfida alla democrazia, la politica e, ancor prima, la filosofia politica dovrebbero assecondare questi processi, prendendo coscienza della crisi irreversibile delle vecchie categorie della cittadinanza e della sovranità, nonché dell'inadeguatezza di quel debole rimedio alla loro valenza discriminatoria che è stato fino ad oggi il diritto d'asilo".

108 FERRAJOLI L. (2001, p. 152).

109 DELLA PORTA D., REITER H. (2003, p. 339).

110 Sull'estraneità del fenomeno in Italia vedasi BRONZINI G. (2003, p. 115). Sull'estraneità del fenomeno in Europa vedasi SERRA T. (1993, p. 189).

111 OROZCO C., AVENDAÑO M. (2003).

112 HABERMAS J. (1992, pp. 453-4). Vedasi anche BOBBIO N., MATTEUCCI N., PASQUINO G. (2004, p. 273).

113 Sulle particolarità degli atti di disobbedienza civile nella letteratura italiana vedasi SERRA T. (1993, p. 190).

114 Questo requisito di pubblicità degli atti di disobbedienza civile è molto discusso nella dottrina. Vedasi GASCÓN M. (1990). Per John Rawls la pubblicità dimostra il grado di fedeltà al sistema del disobbediente, giacché non cerca né la clandestinità né di sottrarsi dal castigo e invece mostra alla maggioranza che non sono stati rispettati i principi di giustizia. Per Jürgen Habermas la pubblicità si relaziona con il carattere partecipativo della disobbedienza civile, nonché con gli scopi di questi atti; ossia esercitare una decisa pressione politica. RAWLS J. (1996), HABERMAS J. (1988).

115 Sul tema vedasi OROZCO C., AVENDAÑO M. (2003). 116 Vedasi anche BRONZINI G. (2003, p. 103). 117 HABERMAS J. (1992, p. 106). L'articolo 20 della norma fondamentale tedesca (Art. 20 Abs. 4 GG) garantisce il diritto di resistenza (widerstandsrecht): "Gegen jeden, der es unternimmt, diese Ordnung zu beseitigen, haben alle Deutschen das Recht zum Widerstand, wenn andere Abhilfe nicht möglich ist". HESSELBERGER D. (2003). Sul diritto di resistenza nella Repubblica Federale Tedesca si veda DIE ZEIT (1983), HABERMAS J. (1983), KIELMANSEGG P. (1983), RENDTORFF T. (1983), SONTHEIMER K. (1983).

118 Sul tema vedasi BRONZINI G. (2003, p. 103).

119 FERRAJOLI L. (1989, pp. 972-3). Vedasi anche BRONZINI G. (2003, pp. 103-4).

120 MARCUSE H. (1967, p. 23): "Il termine totalitario, infatti, non si applica soltanto ad una or ganizzazione politica e terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economicotecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. Essa preclude per tal via l'emergere di una opposizione efficace contro l'insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio politico produce il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione, sistema che può essere benissimo compatibile con un pluralismo di partiti, di giornali, di poteri controbilanciati, ecc".

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